Solothurn, è una cittadina sul lago poco lontana da Zurigo che ospita annualmente il Festival più importante del cinema Svizzero. Con un biglietto in mano cerco la Landhouse dove verrà proiettato Farid- In Zurich oder Irgendwo (Farid a Zurigo o dovunque). L’autore è un mio compaesano di venti anni più giovane. Le strade di Solothurn sono affollate; trovo il locale ma non lo riconosco. I muri sono tappezzati di locandine ma nessuna traccia del mio film. Chiedo lumi a una hostess che mi accompagna nella più grande sala di proiezioni del festival. Mi dice con un gran sorriso: “questa è la sala.”
Un immenso locale vuoto. Nella mia esperienza di conferenziere e di presentazioni di libri ho gioito di sale piene ma, ahimé, ho vissuto anche l’angoscia delle sale vuote. Ed è proprio quell’angoscia che mi coglie. Io sono solo uno spettatore ma Pino Esposito costruisce opere di alto valore civile e morale. Se la sala fosse anche semivuota proverei lo stesso dispiacere che se il film fosse mio. Il grande salone prospiciente oltre all’ufficio informazioni ha una caffetteria e c’è un via vai di gente che però è di passaggio. Viene, chiede informazioni, mangia, beve, esce. Nella sala non entra nessuno. In un angolo intravedo una distinta signora circondata da giovani figlie e nipoti. L’accento è rossanese puro. Mi avvicino: “La famiglia di Pino Esposito?”. Mi accolgono con grandi sorrisi. L’angoscia aumenta. Sono venuti da Rossano. Con me facciamo sette, un po’ pochini in quell’immensa sala. Mi dico: “Ma Pino, non potevi chiedere una sala più piccola? Saremmo stati pochi lo stesso ma saremmo sembrati di più!” Arriva Pino. Non ci siamo mai visti di persona, ma certamente è lui. Lo vedo stanchissimo, forse preoccupato, ma un po’ di gente comincia a venire. Entriamo con quindici minuti di ritardo e, miracolo, La sala si riempie. Provo a contarli, si tratta di almeno novecento persone. Una breve intervista pubblica. Grandi applausi. Inizia il film. Il protagonista è Farid, un intellettuale palestinese, un giornalista forse, un richiedente asilo respinto che vive a Zurigo e aspetta la “deportazione” in Palestina. Farid gira la città, si siede negli angoli, qualche volta nei bar, osserva e redige una specie di diario. Annota e commenta a bassa voce i sogni infranti dei san papier, delle prostitute, dei vagabondi, dei richiedenti asilo come lui respinti, dei reduci di Sarajevo, del Ruanda, dei clandestini in cerca di una casa. Insomma la macchina da presa più che raccontare respira la Zurigo delle “vedove e degli orfani” di cui tocca le emozioni nel mutare della stagioni, soprattutto da un angolo quasi completamente abitato dagli ultimi, senza enfasi né effetti speciali. Toccante, la città degli irregolari sotto la neve e coinvolgenti le musiche, che non scaturiscono da una colonna sonora artificiosamente costruita ma piuttosto, registrate sulla strada. Sono i violini mal suonati dei mendicanti, i sassofoni che maltrattano le note, le trombe che emettono suoni affanati… E poi le parole di Farid, poche, versi più che parole, una lunga pacata elegia sul contrasto stridente tra il benessere opulento e la precarietà, la solitudine, la fame. E struggente la immagini di un vecchio che ogni tanto compare e pronuncia la parola Sarajevo, senza un apparente motivo. Guardo spesso gli spettatori. Non vola una mosca. La maggior parte sono giovani svizzeri. Quando la proiezione termina il silenzio continua per un breve momento che appare lunghissimo, poi il pubblico si scioglie in un applauso convinto che si ripete durante e alla fine della successiva intervista dal palco. Il successo di Pino è una consolazione, un incoraggiamento forte per tutti i manovali della speranza. Si può fare cultura autentica e si possono interessare agli ultimi i giovani fortunati che molto potranno fare se avranno la coscienza illuminata. Vedere 900 giovani svizzeri applaudire un rossanese è un’emozione forte ma è assai triste sapere che Pino Esposito è conosciuto più nel momdo che a Rossano. E’ il secondo lungometraggio di Pino Esposito. Il primo “Il nuovo Sud dell’Italia” è stato selezionato e proiettato in numerose rassegne internazionali: Locarno, Toronto, Milano, Cannes, Verona dove l’anno scorso ha vinto il primo premio al Festival San Giò. Tra la mia narrativa e l’opera di Pino Esposito c’è certamente qualcosa di profondo in comune: la passione spirituale, civile, politica, per il mondo degli ultimi, la poesia. Il nostro incontro ha prodotto per ora un idea, un sogno: tradurre in un film d’arte il mio “Il Mulino sul Colognati”. Enzo Romeo, giornalista di Rai 2 lo ha definito:”: “Un contributo per il rilancio culturale della nostra Calabria.” L’arte di Pino Esposito potrebbe amplificare a mille ciò che il mio lavoro ha sin qui prodotto sul piano culturale.
Rolando Rizzo