Alle 10 in punto del 20 maggio, circa 150 tra studenti e docenti dell’ITAS di Rossano con il Dir. Scolastico, Prof.ssa Chiodo, e altri rappresentanti del mondo delle associazioni erano seduti ai loro posti; dall’altro lato della sala avevano già preso posto circa 80 detenuti del circuito di media sicurezza. Subito dopo al tavolo dei relatori il Direttore del Carcere, Dott. Carrà,
ha aperto i lavori del seminario e dopo un concisa relazione ha ceduto il microfono alla professoressa Chiodo e, a seguire, alla regista Giovanna Taviani la quale ha illustrato i lavori relativi ai film proiettati. A quel punto sono state spente le luci della sala polivalente del penitenziario e si è dato inizio alla proiezione con il docu-corto “Il Riscatto “ della stessa Taviani, presentato in esclusiva anteprima per Rossano e, al termine, il film “Cesare deve morire”.
L’emozione suscitata dai due film è stata fortissima ed era palpabile anche la commozione in sala non solo dei detenuti che si sono visti, come in un transfer, proiettati nella pellicola, ma anche di tutti gli spettatori che sono riusciti a calarsi nel tormento interiore vissuto dai protagonisti del film, sentendolo ancora più forte dal momento che, accanto a loro, nella stessa sala, erano presenti altri ristretti.
Il riscatto ha suscitato forte commozione in quanto narra il vissuto dell’ex detenuto, ormai attore di fama, che portatosi ad Arezzo, nella storica cella, ripensa al martirio di coloro che si sono fatti uccidere per la libertà e capisce lo “spreco “ che ha fatto della sua. Cesare deve morire ha raccontato il pathos dei detenuti al momento della recitazione in cui vengono fuori stati d’animo sommersi.
La fine delle due proiezioni è stata accompagnata da lunghissimi applausi che hanno oltremodo commosso gli astanti e la stessa regista che ha dichiarato di voler tornare al carcere di Rossano e girare un film documentario per dare spazio al percorso detentivo di alcuni detenuti che saranno selezionati unitamente al Direttore Carrà. Nel dibattito che ne è seguito sono stati trattati argomenti di carattere giuridico da parte del Magistrato di Sorveglianza, Dott. Caliò, di respiro sociale da parte dell’ass. Pizzuti, di carattere culturale con la prof. Ssa Chiodo che si è soffermata sulla particolarità dell’evento che vede Rossano e la sua scuola promotrice di un evento capace di ospitare registi di fama mondiale e di porsi all’avanguardia nell’offerta formativa. Il dott. Carrà e lo staff del penitenziario hanno voluto omaggiare la regista Taviani donandole un anfora, pezzo unico realizzato dai detenuti che lavorano regolarmente nel laboratorio di ceramica del penitenziario, simboleggiante un arula protostorica.
Dichiarazione del Direttore Carrà
Sono rimasto affascinato dal titolo del seminario di studi ovvero sul concetto di ” arte come strumento di libertà” per cui ho ritenuto che, parlando di arte e libertà in un carcere, occorre ricercare e chiarire quale sia lo strumento di libertà che si sta cercando; strumento di cosa o per cosa ? Strumento quale oggetto artistico ………… oppure uno strumento musicale capace liberare le emozioni ………… oppure addirittura arte in grado di trasformarsi in uno strumento per forzare il carcere e ridare – materialmente – la libertà!!!!
Il carcere è da sempre stato una fucina sia di opere, che di musica o di testi ispirati dalla detenzione, dal tempo sospeso, dilatato e vuoto della pena. Ed ecco perché lo stretto connubio tra il mondo dell’arte, in tutte le sue forme, e quello della pena c’è sempre stato e affonda le radici nel tempo.
Il legame tra carcere e arte va ben oltre la semplice pena; narra i drammi e le suggestioni che albergano al di là delle sbarre, riesce a cogliere ciò che trapela dalle mura di un carcere e delle storie di quell’infinito campionario umano che è costretto a vivere recluso in una cella.
E allora qual è la libertà che cerchiamo oggi – in questo seminario – che deriverebbe dall’arte come strumento?? Sicuramente non è una libertà materiale!!
Ecco come e perché l’arte diventa strumento di libertà!
Allora forse è il caso di distinguere un carcere virtuale da un carcere reale.
Quello virtuale non è altro che la trappola delle passioni che – oggi più che mai- incatena l’uomo e che non si ferma a questa mura ma lo troviamo disseminato e latente nell’intera società; le sbarre virtuali, quelle più solide ed invalicabili, rappresentate dal pregiudizio ………. la ricerca dell’effimero, dll’apparente che intrappola e imprigiona più di ogni altra cosa!
Allora è evidente che l’arte deve diventare strumento per liberare da sé stessi ……….. per liberare l’essere sconosciuto che esiste in ogni uomo…….libertà del non-io!!
L’arte è strumento di libertà dalla non-libertà………. dalla prigione dell’apparire e non dell’essere…..strumento di libertà dall’uomo vecchio per fare uscire quello nuovo, ………..liberarlo appunto!!!
E’ come un iceberg: la parte che emerge dal mare è molto più piccola rispetto alla grande massa di ghiaccio che è immersa nel mare, allo stesso modo la conoscienza di noi stessi è solo una piccola parte rispetto al nostro inconscio. Gran parte del nostro essere rimane sconosciuto a noi stessi.
Si tratta, quindi, di un vero e proprio processo di crescita che permette all’adulto\ recluso di riscoprire il proprio “io bambino”, immerso nel piacere del fare artistico uscendo fuori dagli schematismi a cui il “mondo dei grandi” ci ha abituati. Il tutto è gratificante, perché il detenuto sta facendo qualcosa per sé stesso senza dover essere giudicato per il suo prodotto.
Sotto questo aspetto penso che il film dei F.lli Taviani possa dare un contributo decisivo per un dibattito nel mondo socio culturale e, di riflesso, in quello politico, e quindi può diventare esso stesso quello “strumento di libertà” di cui abbiamo discusso nella giornata di seminario di studi, per pensare ad un nuovo modo di concepire il carcere e l’esecuzione della pena.