La terza domenica di Maggio a Rossano (invece nel calendario greco-bizantino la festa cade il 12 giugno) si celebra e si festeggia, da tempo immemorabile, Sant’Onofrio (“nel dì sacro al Santo”, L. De Rosis, “Cenno storico della città di Rossano …”, Stamperia N. Mosca, Napoli 1838, p. 44 n. 2) nell’omonima contrada montana, designata un tempo con i nomi di Pietra Cattolica e Ramo Angelica (dall’800 note rispettivamente come Pietrattolica e Ramicella).  

    
     Una festa dei pastori e del popolo – probabilmente la o una delle più antiche d’Italia – che, ad un mese circa dall’inizio dell’equinozio di primavere (21 marzo), invoca la protezione del Santo eremita persiano-egiziano per propiziare una proficua stagione della transumanza. Essa è molto partecipata soprattutto dai cittadini dei paesi montani della Sila Greca, segnatamente da quelli di Rossano, Longobucco e Paludi.
     Il perno della festa è il simulacro del Santo: una statua lignea di straordinaria bellezza che ritrae il Santo eremita seminudo e in regale posa, con barba e capelli lunghi, sommariamente coperto da un panno di foglie, regge con la mano destra a mo’ di scettro il bastone dei pastori e con la sinistra le offerte votive dei fedeli (“ex voto”), ha per corona un intreccio di rose e fiori di campo, per compagno di viaggio la riproduzione di un’accovacciata “bianca cerva, che lo nutrì per tre anni, donatagli da un Angelo”(“Vita di S. Onofrio”). La statua viene portata a spalla in processione per i viottoli attorno alla Chiesetta, accompagnata da musica e canti; un devoto dietro la statua reca un lungo bastone ramificato, detto “majo”,  ricavato nel mese di maggio dalla pianta arborea longeva e beneaugurale della “fisciognola” (agrifoglio), ai cui rami sono appesi numerosissimi “taralli” fatti in casa da sapienti mani di donne, simboli del lavoro dell’uomo e offerta votiva al Santo del popolo. A conclusione della processione e della fase religiosa della festa il parroco della contrada concelebra la messa con la partecipazione della popolazione e all’aperto di fronte alla Chiesetta del Santo. Seguono i momenti laici della festività. Innanzi tutto, si tiene l’ “incanto” da parte di esperti rappresentanti del “Comitato di S. Onofrio”, ossia la messa all’asta dei “taralli del majo” e di prodotti lattiero-caseari, conserve alimentari, insaccati, vino, animali d’allevamento, offerti generosamente dalle famiglie del territorio al Santo e il cui ricavato viene utilizzato per le opere di manutenzione della Chiesetta, della ripida strada di accesso al luogo sacro e per le iniziative correlate alla festa; fino a qualche decennio fa i pastori gareggiavano tra di loro con il tiro al bersaglio dei loro fucili. La festa si conclude con la convivialità gioiosa, degustando le produzioni rigorosamente caserecce e identitarie, messe a disposizione dalle famiglie, condivise con amici e ospiti occasionali; il tutto è allietato da antichi racconti, canti d’amore, tarantelle eseguite con gli strumenti musicali tipici della tradizione dei pastori (“ciaramella”, zufoli, chitarra battente, organetto).
Chi è Sant’Onofrio ?
Onofrio è il Santo dei pastori e del popolo.
     Le notizie su S. Onofrio si trovano nella “Vita” del Santo, scritta, verso la fine del sec. IV, da S. Pafnuzio (che raccolse dalla viva voce del Santo la sua storia personale e le sue ultime volontà); essa sarà ripresa poi, nel sec. VII, da S. Giovanni Climaco e, nel 1928, da Fr. Alberto Lepidi. Dette agiografie ci informano che il Nostro visse per 70 anni circa, nel sec. IV, al tempo dell’Imperatore romano Costanzo II (317-361), figlio di Costantino, e dell’imperatore d’Oriente Flavio Valente (328-378), era figlio di un re di Persia, si convertì al Cristianesimo ed entrò in un Monastero. Ben presto, però, influenzato dalla religiosità eremitica (del profeta Elia, di S. Giovanni Battista e S. Antonio Abate), abbracciò per il resto della sua vita il monachesimo anacoretico nella zona ascetica montana della Tebaide nell’alto Egitto. Benchè solo e in compagnia soltanto di Dio, ultimo tra i poveri, ebbe molti proseliti e fu un modello di riferimento e di attrazione nel mondo cristiano.
     La sua fama, giunta anche in Italia, quando questa fu tolta ai Goti dai Bizantini (535-553), si diffuse a tal punto sulla montagna di Rossano (nota come la zona ascetica dell’ “Aghion Oros” o Montagna Santa) e tra le comunità di pastori, che diede vita a un numeroso movimento monastico onofriano, concentrato in un Monastero dedicato a Sant’ Onofrio nell’alta valle del Colognati (L. De Rosis, op. cit., p. 205). Questo Monastero era molto famoso, tanto da indurre i Saraceni islamici della Sicilia a distruggerlo (983). Ma i pastori e il popolo conservarono per secoli e tuttora conservano di S. Onofrio la memoria (tanto che in non poche famiglie continuano anche oggi a rinnovarne il nome nei figli), la rappresentazione del suo corpo statuario attraverso una statua lignea, il culto, la venerazione, la Chiesetta, la festa e una piccola grotta, rifugio e luogo dell’ascèsi personale degli ultimi eremiti, fino ad anni recenti del secolo scorso.
     La festa in onore del Santo dei pastori e del popolo si tiene su un ampio pianoro, a cui si accede prevalentemente a piedi in pellegrinaggio (risalendo il Colognati o scendendo dalla zona montana della Mimosa) e al cui centro si trova la Chiesetta di Sant’Onofrio.
     Questa è ubicata nel fondo valle della “jumara” di Colognati, a pochi chilometri dalla sorgente e da una serie di cascate e laghetti, dentro un’ampia conca chiusa, tra i contrafforti della Sila Greca, circondata da boschi lussureggianti e da una ricca variegata vegetazione, che fanno di questo luogo un incontaminato, suggestivo, paradisiaco Parco Naturale Montano di “Rossano la bizantina”.
     La Chiesetta è la trasformazione di un antico Oratorio o Romitaggio : un piccolo edificio superstite e ultima testimonianza architettonica di un complesso monastico risalente all’Alto Medioevo bizantino. La piccola Chiesa è ciò che resta dell’omonimo Monastero, edificato prima del sec. X, da monaci che si richiamano al modello e allo stile di vita ascetica di Sant’Onofrio. Questo Monastero assieme ad altri numerosi Monasteri (San Giovanni Battista o “Santo Janni”, San Salvatore, Sant’Opoli o Arenario, San Biagio di Vale, San Maria Nuova, Santa Maria Roconiate, Santa Maria Nuova Odigitria o Patìr o Patìre o Patìrion), Laure ed Eremi (Forello, “i Santi Patri”) sono  operanti e attivi per secoli sui monti, tanto che questi diventano famosi come l’ “Aghion Oros ”, la “Montagna Santa” della bizantina Rossano, ossia la zona asceta fra le più importanti dell’Italia Meridionale.
     Il fiorente Monastero dedicato a Sant’Onofrio è distrutto, all’alba  dell’Epifania del 983, dai Saraceni musulmani della Sicilia, comandati da Alimech Machevil e guidati da un delatore rossanese schiavo degli islamici; i Saraceni, nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, risaliti il torrente e nascostisi nella boscaglia, attesero “l’ora dei divini uffici, onde il numero dei fedeli ivi radunatosi fosse maggiore” e attaccarono i presenti, che, nonostante la loro eroica resistenza, furono sopraffatti, tanto che molti furono uccisi e altri furono fatti schiavi; soltanto “pochi riuscirono a fuggire”; dopo di che i Saraceni, prima di ritirarsi, abbatterono il Monastero (L. De Rosis, op. cit., pp. 44-45).
     I superstiti, negli anni successivi, costruiscono con i resti del complesso monastico un Oratorio, un Eremo, un Romitorio, sempre dedicato a Sant’Onofrio.
     Questo è esistente al tempo dell’Arcivescovo Teofane Cerameo (1131-43). Nel 1216, è una “grangia” (un’azienda agricolo-pastorale, costituita da piccoli edifici e terreni e gestita da monaci) del Monastero del Patìr, del cui immenso patrimonio immobiliare è parte integrante, come attesta la bolla di quell’anno da parte del Papa Onorio III a Nicodemo, Abate del Patìr, che conferma la protezione papale al monastero e i beni patrimoniali dei quali si fa un chiaro elenco (Pierre Batiffol, “L’Abbazia di Rossano”, p. 55; Luigi Renzo, “Il Monastero di Santa Maria del Patire di Rossano”, Progetto 2000, Cosenza 2003, p.37). Successivamente passa con tutto il suo territorio all’Universitas di Rossano e da questa, poi, nel 1690, venduto ai Borghese di Roma, principi di Rossano, che li terranno per 120 anni; nel sec. XVII, ci ricorda il primo storico rossanese, Carlo Blasco (1635-1707), esiste ancora una “parte dell’antico Monastero dedicato al Santo eremita Onofrio”, dove “i monaci eremiti” continuano l’antica tradizione della festa dedicata al loro Santo e curano il Romitorio (Carlo Blasco, “Le Istorie della città di Rossano”, manoscritto del sec. XVII, pubblicato da Mario Massoni come supplemento a “La Voce”, n. 7 del 1° maggio 1992, p. 23). Nel successivo sec. XVIII, il piccolo luogo sacro è ancora frequentato da eremiti, infatti in esso vi è seppellito, nel 1781, il monaco Antonio Fusaro Aeropagita (Luigi Renzo, “Archidiocesi di Rossano-Cariati”, Studio Zeta, Rossano 1990, p. 41, n. 12).  Soltanto nel 1810, durante il Decennio francese, con la legge eversiva della feudalità (1809), il piccolo romitorio monastico e gli immensi boschi della montagna di Sant’Onofrio ritornano definitivamente ai beni demaniali del Comune di Rossano. L’antico Oratorio-Eremo, è fatto riattare, negli anni 1832-36, dal Sindaco Michele Romano e restaurare, negli anni 1990-92, su sollecitazione del “Comitato” (Presidente Nilo Avena) dall’Amministrazione Comunale del tempo (Sindaco Tonino Caracciolo, Assessore alla cultura lo scrivente).
     La piccola Chiesa è il nucleo portante della contrada montana di Sant’Onofrio, la quale, per secoli, è un’area di sosta della transumanza e di attività commerciali delle tipiche produzioni agro-alimentari montane, è ricca di pascoli, è caratterizzata da un fitto bosco di alberi di alto fusto (sicuro rifugio dei ribelli briganti pre e post-unitari). Il bosco di Sant’Onofrio, fino a tempi recenti, ha animato una buona economia della montagna, che ha fornito prodotti lattiero-caseari, frutti del sottobosco, legname, la famosa “pece brezia”, la “manna” (ricavata dall’intaglio dei frassini silvestri), castagne. A queste ultime è legato “lo sbarro delle castagne”, un episodio (1867) della vita del più famoso brigante di questo territorio, Domenico Straface, noto come “Palma”, il “re della montagna”, il “masnadiero romantico”: questi, resosi conto dello stato drammatico di sfruttamento, di miseria e di fame del popolo minuto rossanese ordinò al Sindaco e all’Amministrazione Comunale di Rossano di autorizzare i poveri della città a poter raccogliere gratuitamente le castagne del bosco di Sant’Onofrio (Alfredo Gradilone, “Storia di Rossano”, MIT, Cosenza 1967, p. 831-32, n. 33).   Il territorio di Sant’ Onofrio, inoltre, è un luogo estremamente importante e significativo dell’identità culturale di appartenenza delle popolazioni della Calabria jonico-silana, testimonianza visibile e forte della “Mesògaia”, ossia della Civiltà della montagna, che, formatasi al tempo degli “Enotrii” e dei “Brettii” (secc. XVII-II a.C.), consolidatasi durante il Medio Evo (secc. V-XV), resiste tuttora, sia pure faticosamente, ma con la dignità e la fierezza dei montanari. E’ la Civiltà di chi ancora continua ad amare la montagna e continua a vivere nelle zone e paesi dell’interno, continua a fornire al mercato produzioni agro-alimentari di eccellenza, difende la propria cultura e le proprie tradizioni identitarie.
     Luogo di preghiera, di contemplazione, di silenzio la Chiesetta e la zona montana di Sant’Onofrio, la cui cornice ambientale è di una bellezza straordinaria e mozzafiato: è rimasto caro soprattutto al popolo, particolarmente ai pastori e ai contadini e da questi, ancora oggi, amorevolmente custodito e venerato.
Rossano, 17 maggio 2015
                                                                                                           Francesco  Filareto