La Corte costituzionale da ragione ai movimenti “No Triv” ed alle regioni e ammette il quesito sul mare al referendum.
Ed il primo round è andato. Mentre Renzi si irrita ed esclude l’“election day”, probabilmente per non fornire vantaggi al fronte del no, soprattutto al sud.
Perché il no al petrolio – lo rammentiamo, la ricerca e le trivellazioni sono stata ammesse dal decreto “Sblocca Italia” – giungerà dalla stragrande maggioranza della cittadinanza, e da tutto quello che ruota attorno ai movimenti “No Triv”, che oggi ha esultato a piene mani per il risultato ottenuto in sede di Corte Costituzionale.
Un fronte del “no”, al fianco dei movimentisti, formato da M5s, Sel, Lega, pezzi di Pd e nove amministrazioni regionali, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, più il mondo cattolico e ambientalista.
Una bella gatta da pelare per il premier che aveva bypassato, come sempre, il potere del popolo attraverso quel celeberrimo decreto.
Ora, tutto torna in gioco ed il nostro mar Jonio, azzardiamo, non sarà minimamente sfiorato. Perché è obbligo morale e civico andare a votare, raggiungere il quorum e scrivere sulla scheda un bel “no” che impedirà prima i sondaggi (le navi air gun) per capire se vi sono idrocarburi sul fondo del mare Jonio e poi le trivellazioni.
Una battaglia, insomma, che si deve vincere, partendo da qui, dalla costa jonica cosentina, dalla Basilicata, dalla Puglia ecc. perchè è bene ricordare che il golfo di Taranto, vaste zone di mare anche fra Rossano e Corigliano, ma anche un’ampia fascia collinare, rischiano di essere ridotti a groviera.
“Apprendiamo – questo il commento del movimento “No Triv” dopo aver appreso la notizia – con grande soddisfazione che la Corte Costituzionale ha ammesso il quesito referendario sul mare, così come riformulato dalla Corte di Cassazione. I cittadini saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento”.
La sentenza della Corte Costituzionale dimostra come le modifiche alla normativa apportate dal Governo in sede di Legge di Stabilità “non soddisfacevano – continuano – i quesiti referendari e, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione”.
“Tre dei sei quesiti depositati da 10 regioni il 30 settembre 2015 – specificano ancora – sono stati recepiti dalla Legge di Stabilità, il quarto viene ora ammesso dalla Consulta, mentre sugli ultimi due quesiti è stato promosso da sei Regioni un conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento. I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle Aree, abilmente abrogato dal Governo nella Legge di Stabilità. Il Piano obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le aree in cui è possibile avviare dei progetti di trivellazione. Si tratta di uno strumento di concertazione stato-regioni che risulta essere fondamentale soprattutto in vista del referendum confermativo delle riforme costituzionali che, con la riforma del titolo V, accentrano il potere in materia energetica nelle mani dello Stato”.
Soddisfazione per la notizia, infine, giunge anche dal consiglire regionale Giuseppe Graziano. “È fallito il piano del Governo per evitare i referendum sulle trivelle in mare proposti dalle Regioni. La Consulta – commenta il leader del movimento “Il Coraggio di cambiare l’Italia” dà ai cittadini la parola decisiva! Anche attraverso la nostra persistenza e la nostra presenza costante su tutti i tavoli siamo riusciti a raggiungere questo risultato. Abbiamo un po’ scombussolato i piani del Presidente Renzi. E’ una giornata storica perché mai nella storia della Repubblica i Consigli Regionali hanno convocato un referendum come questo che coinvolge tutte le regioni del sud e si pone a difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini. Questa è la prima volta che può determinare un momento di svolta per il Paese. È un segnale di coraggio nel cambiamento!”
Luca Latella