A Rossano, come in ogni provincia che si rispetti, le mode arrivano sempre in ritardo e quando arrivano deflagrano. In queste giorni in alcune sacche di società civile, come usa dirsi per indicare il nulla, si agita il vento dell’antipolitica d’accatto.
Ha attraversato come Tramontana le Regionali del 2014 dove la percentuale di votanti, nella Purpurea – fu Bizantina, è stata del 46,30 per cento rispetto al 61,07 della tornata del 2010. Senza che vi fossero appelli palesi al non voto, all’andare al mare di craxiana memoria, non fosse altro che si era d’inverno. Oggi a Rossano, che vive d’amore e commissario, si agita come uno Scirocco utile a riscaldare il freddo cuore dei delusi dall’andamento delle cose. C’è anche chi spinto da tardivo giovanilismo recupera motti e slogan del passato, gli occupy di americana memoria. Per carità non nego le ragioni del malessere, siamo come i bastioni d’Orione, maiali in attesa di essere insaccati, pezzi di carne masticati e vomitati fuori dai tanti che avrebbero dovuto toglierci dalla palude e che invece hanno lasciato sguazzassimo nel fango.
All’improvviso poi, spinti dalle dichiarazioni rilasciate dal senatore Buemi, ci si ricorda che ci è stato chiuso un Tribunale, e nonostante le varie proteste messe a punto e andate perse come lacrime nella pioggia nella fase clou della revisione della geografia giudiziaria, ci si ringalluzzisce e si decide di movimentarsi. Per carità noi calabresi passiamo alla storia come ignavi e refrattari, poco inclini all’azione quindi tutto sommato ben venga l’impegno civile, a patto che non si facciano classifiche, per cui protestare per i rifiuti è strumentale mentre per il tribunale no. Certo è chiudere il cancello una volta che i buoi sono scappati, ma tant’è, alzare la voce male non fa.
Quello che non capisco è perché per ottenere la riapertura del tribunale, piuttosto che una sanità efficiente dove non addirittura una nuova 106 a Rossano non si debba votare. I candidati dovrebbero ritirarsi in massa e lasciare il comune in balia di un commissario. Mi sfugge quale potrebbe essere lo scenario una volta che questo dovesse accadere al netto dell’etichetta di “eclatante protesta”, di un paio di titoli di giornale e qualche apertura di telegiornale. Materialmente dopo che capiterebbe? La palla di vetro non è affidabile, i fondi di caffè nulla ci dicono quindi previsioni esatte nessuno, ma proprio nessuno, ne può fare.
La mia idea è che non succederebbe niente. Semplicemente ci terremmo il commissario con un Comune su cui spira come Ostro lo spettro del predissesto. Io che non mi faccio tentare da chimere vaffanculiste, dal tutti ladri e soprattutto dal disimpegno, sostengo che oggi più che mai i cittadini, rossanesi come altri, devono essere responsabilizzati e andare a votare, troppo facile mollare la presa, passare la mano. Anzi, alzo l’asticella della provocazione, un tribunale chiuso, pur con i disagi che ha comportato, vale abbandonare una intera città allo sbando senza una guida? Io non restituisco il mio certificato elettorale, non intendo essere privata del mio diritto – dovere di votare e di prendermi poi la responsabilità per quel voto e condividerla con chi, in caso, avrà deluso le mie aspettative.
Oltretutto invece di fare proclami a mezzo stampa, dove non a mezzo facebook, perché i candidati che si sono detti disponibili a ritirare la lo candidatura a sindaco non lo fanno e basta? In modo da restare, nella fallace e breve memoria bizantina, come quelli che dissero no, in nome di un Tribunale non salvato a tempo debito. Mio nonno mi raccontava che quando era giovane, negli anni duri della lotta tra compagni e camerati, agli albori dello scudocrociato, la sua brigata aveva un solo ordine, votare per primi, al mattino presto, durante la giornata avrebbero potuto verificarsi disordini, qualcuno avrebbe potuto passare la notte in una cella, da innocente, o in una camera di ospedale e bisognava assicurarsi ogni volto utile.
La dignità e la schiena dritta, che in tanti oggi invocano a ufo, sono ben altro che non votare. Stanno nella qualità del proprio impegno, nel metterci la faccia, nell’onestà nel proprio lavoro, in tutta una serie di basilari norme deontologiche che in troppi sembrano aver dimenticato.Non in mio nome farete la battaglia del non voto.
Mita Borgogno
(fonte: Il Quotidiano del Sud)