Nell’anno scolastico 1944-45 frequentavo la seconda media.Ed eravamo ancora in piena guerra. La classe proveniva dalla mia prima media che,per via del numero elevato di ripetenti della seconda media del precedente anno scolastico,dovette essere scissa. La nuova classe,seconda B,con un numero ridotto di allievi, fu allogata in un’antica cappella,al secondo piano del vecchio convento di Sant’Antonio,poi collegio Garopoli.
Era una bellissima cappella sconsacrata,ricca di pregevoli modanature barocche che,a dire il vero,allora,noi non eravamo in grado di apprezzare.
La solea,che ospitava l’altare,era più sollevata di un gradino.Ma tutto il vecchio armamentario della chiesa era rimasto accatastato dietro un paravento,che nascondeva l’altare,e che lasciava disponibile soltanto lo spazio per la cattedra,che poi cattedra non era,ma un semplice tavolo con quattro piedi,che consentiva di vedere le gambe degli insegnanti.
E quando quelle gambe,divaricate,erano quelle di “una” insegnante,non vi dico gli ammiccamenti ed i commenti, ed i sorrisetti e le fantasticherie di cui possono essere capaci.gli adolescenti.
Il teatrino durò tutto l’anno,perchè tutti noi maschietti,ci guardammo bene dal mettere in guardia le insegnanti. E le femminuccie? Ancora peggio,perchè come facevano finta,con noi,di non accorgersene,fecero,per quieto vivere, finta anche con le insegnanti.
Si stabili una immediata complicità tra tutti noi allievi,sia ripetenti che non,dovuta,credo,all’intimità che suggeriva il piccolo locale,la pseudo misticità che avrebbe dovuto ispirare l’ambientazione sacra e la simpatia delle isegnanti, giovani,giunonica quella di lettere,graziosissima quella di lingua francese.
Ma ciò che le rendeva assai gradite era il fatto che non erano coriglianesi,ma rossanesi,e questo le caratterizzava per un distacco dalle camarille locali che,di solito,creavano simpatie ed antipatie che pesavano molto sul rendimento,scolastico.
Sotto questo aspetto,riconosco che ci fu un livellamento di trattamento che giovò all’esito scolastico. Tra i nuovi compagni si distingueva,per simpatia e vivacità, Paolo Di Giovanni.Era un nano,ma di intelligenza viva. Probabilmente aveve fatto una scelta di vita,già allora, rinunciando ad eventuali benifici che gli sarebbero derivati da una faticosa carriera scolastica.Aveva altro in mente.
Ma il papà si era incaponito.E lui? Anche.All’opposto. Con noi tentava di fare sfoggio millantando una cultura superiore perchè,diceva,quelle cose le aveva fatte… E ce ne accorgemmo il giorno che in gruppo tentammo di tradurre alcune frasi in latino.
Nella suddivisione dei compiti,luii si accollò l’impegno di cercare le parole sul vocabolario.
Cominciammo.Noi ad alta voce: “il padre…. “ e lui,dopo aver ben leccato l’indice della mano destra,si accinse a cercare sul vocabolario,ripetendo ad alta voce i i i i il… S’era messo a cercare…il,dimostrando di ignorare,in modo assoluto,la struttura della lingua latina che è fatta soltanto di declinazioni.Altro che cercare l’articolo che nella lingua latina non esiste.
Capimmo perchè era ripetente.E si associò alla gran risata. Quando,passammo al Francese,bisognava tradurre una lettura,dal francese all’italano. Ci avvertì.Questa la conosco bene perchè l’abbiamo fatta l’anno scorso.Cominciava:
PAPA LIRA UN LIVRE ACHETÉ IER. Tradusse: PAPÀ PER UNA LIRA COMPRÒ UN LIBRO IERI.
Pur essendo vero che erano le nostre prime battute in lingua francese,scoppiammo,all’unanimita,a ridere,specie per quel“lira”che diventava una moneta….francese. E lui,pur restando,lì per lì,un pó frastornato,non mancó di unirsi a noi nella conseguente fragorosa risata.
Ecco,questo era Paoluccio,come usavamo chiamarlo. E man mano che aumentavano le nostre conoscenze in latino,avemmo conferma del detto latino.”nomen,omen”. Infatti,in latino,”paulus” signific
a: poco,piccolo. E chi più “piccolo” di Paoluccio? Essendo vivace ed irrequieto,veniva,molto spesso,per punizione,obbligato a stare con la faccia rivolta al muro, alle spalle e nelle immediate vicinanze della cattedra. Ma data la sua vivacità,era impensabile che potesse portare a termine un obbligo di fermo totale.
E ci fu la volta che,lentamente,qatto quatto,sgusciò dietro il paravento.
Quasi ce ne dimenticammo,sia noi che l’insegnante di lettere.Dopo un bel po’,lo vedemmo comparire,al di sopra del paravento,mentre si,arrampicava sulle mensolature che coronavano l’altare,addossato alla parete di fondo. trascinando candelabri dorati ed altri addobbi che con simmetria e gradualità collocava sulle mensolature.
La nostra complicità e solidarietà fu totale e muta. Ma quando arrivò alla nicchia che di solito sovrasta l’altare,quella che credo venga utilizzata nel rituale di PASQUA con l’esposizione del Cristo risorto,vi si piazzò dentro (le sue ridotte dimensioni collimavano perfettamente con quelle di una piccola statua del Cristo) e,imbracciando con la sinistra una grande croce di legno nero,e con la mano destra sollevata nel saluto della trinità (pollice indice e medio divaricati), emulò talmente bene la “resurrezione”che non ci potemmo contenere e scoppiò una generale grande risata collettiva.
L’insegnante,frastornata,scese dalla solea,e si voltò indietro a guardare nella direzione del bersaglio dei nostri sguardi.
Immediatamente gli intimò di scendere,e lui,come se non la sentisse,imperterrito continuò a persistere in quella postura.Sembrava,inverosimilmente,veramente immedesimato in quella mistica parte. Fu la volta che Paoluccio smise di frequentare quella seconda media.
L’insegnante convocò il padre che,il giorno dopo,venne a parlare con la docente,ed il padre,a fine colloquio, salutò e rivolto al figlio,con una espressione del viso che non faceva presagire nulla di buono:
“Con te faremo i conti a casa”. E Paoluccio mostrò un aspetto nuovo della molteplice sua versatilità di atteggiamenti.
Un pianto dirotto,che non avevo ancora mai visto in un bambino o adolescente,con lacrimoni così grossi che stentavi ad immaginare provenienti da un …nano. Ma,e la cosa ci colpì,quel pianto durò fino alla fine dell’orario scolastico.Noi forse non immaginavamo quali potessero essere le modalità di quei “conti”. Probabilmente,Paoluccio,invece,ne conosceva tempi e modi e conseguenze.
Fu la volta che lo perdemmo di vista.In fondo,in fondo, ci eravamo affezionati a quel piccolo essere che,bene o male,con i suoi “spettacoli” ci regalò momenti di gioia che lo gratificavano della sua estemporanea e spontanea capacità di creare atmosfere allegre.
Addio,Paoluccio.chissá dove ti ha portato,la tua “scalata”,dopo la tappa della nicchia del redentore. Certamente in “alto”,e ci stai bene.
Ernesto SCURA