Fu un giorno di settembre del 1943. Qualche giorno prima avevamo ascoltato alla radio il fatidico proclama di Badoglio che annunciava la fine delle ostilitá nei confronti degli anglo americani e che,delle vecchie alleanze,non faceva parola, confermandone, così,surrettiziamente,quella nefasta,ambigua, vigenza. Un disastroso pateracchio.
È vero che ero un ragazzino di appena dieci anni,ma non occorreva essere adulti o grandi strateghi per capire in che tragica e assurda situazione ci aveva infilato quel pusillanime di Badoglio.Una sola cosa era tangibile:il clima di disfatta che ormai si respirava,in tutto l’alto jonio cosentino.Gli ultimi tedeschi che, ordinatamente, e con rigore teutonico,si ritiravano,non si meravigliarono più di tanto dell’opera di “sabotaggio”compiuta dai volenterosi coriglianesi che,tempestivamente, avevano provveduto a far sparire le mine che,mesi prima, i loroavevano accatastate, vicino ad ogni ponte,per innescarle al momento della ritirata.
E non procedettero a rastrellamenti o rappresaglie.Non ne avevano nè la voglia nè il tempo. Avevano fretta di ritirasi per attestarsi sulla linea GUSTAV.Di ponti,fatti saltare,ne ricordo appena uno,un modesto ponticello,sul torrente Malfrancato, che gli alleati,previo una rapida rastrematura attraversarono agevolmente,con tutti i loro mezzi,dalle jeep ai poderosi carri Sherman e Patton.A sentire la radio di Badoglio: “violenti scontri nella piana di Catania”, sembrava che gli alleati, prima di poter arrivare da noi, avrebbero impiegato molti giorni.
Casa mia era alla periferia di Corigliano,sulla SS106. Mio padre aveva messo a punto una vecchia autovettura Fiat 503,caricata di tutte le nostre cose di valore,in un ridicolo grosso baule legato sul portabagagli posteriore, a ribalta.Il piano era:quando la radio annuncerà che gli alleati sono sbarcati in Calabria,la nostra famigliola, composta dai genitori più i tre figli,emulando l’allegra”famiglia Brambilla che va in vacanza”,trionfalmente,avrebbe affrontato l’esodo verso il paese di origine dei miei genitori, Vaccarizzo Albanese, un ridente abitato arbëresh,ubicato sulle pendici collinari,dove avremmotrovato ospitalità dai parenti, evitando,così,di esserecoinvolti in eventuali conflitti.E mio padre,ogni giorno, colto,da un inconsueto efficientismo, controllava la pressione degli pneumatici.Quel 10 settembre,comedel resto ogni giorno, soldati Italiani,male in arnese,bivaccavano nel pazzale davanti a casa nostra,e mia madre non aveva mancato di fornirgli olio, sale,pepe spezie,e condimenti vari,ed ovviamente pane,oltre a pentole e tegami per cucinare un pollo in cui si erano, ”per caso”,imbattuti nella lunga marcia di avvicinamento alle rispettive case in Calabra e Sicilia. Poveretti,dopo giorni di digiuno,finalmente sazi,si erano sdraiati sul prato e assecondavano la curiosità di mia madre che,con molta benevolenza,dal bacone al primo piano,rivolgeva loro le solite domande: di dov’erano,se erano sposati,e quanti figli avevano e via discorrendo.
Un quadretto diquello che,poi,avremmo scoperto essere lo storico “TUTTI A CASA”.
E quei poveretti non mancavano di ammettere che,oltre ad essere vestiti di stracci erano anche carichi di pidocchi, e pulci e che non vedevano l’ora di arrivare a casa per poter fare un bagno ristoratore e …bonificatore.All’improvviso un rumore sordo ferma il respiro di tutti.E gli sguardi di tutti si rivolgono alla curva della SS106.
Un’autoblindo,che poi intuimmo essere dei reparti canadesi, avanzava molto lentamente,con cautela e circospezione e, dall’angusta finestrella della torretta,si poteva intravedere un soldato con l’elmetto a forma di “piatto”,proprio come tantevolte il Corriere dei Piccoli lo aveva ridicolizzato. Quel soldato,più che un invasore,era un uomo impaurito. Un uomo impaurito,col dito sul grilletto di una mitragliatrice, preso dal panico,può anche fare una strage.
E quì subentra l’intelligenza,la lungimiranza,la saggezza ed il tempismo di mia madre che si mise a battere fragorosamente le mani,ed appresso a lei il gruppetto di soldati sbandati,e noi, e qualche passante occasionale.
Quell’applauso servì a rassicurare il canadese che,con palese fiducia chiese:German,German?
Ed ancora mia madre:NIX GERMAN,NIX GERMAuN ! È Ovvio, che mia madre non conosceva nè l’inglese nè il tedesco.Ma quel “nix” (che voleva essere un nichts),l’aveva orecchiato durante la presenza tedesca,per via di quei reparti insediati, da tempo,nella nostra zona.
Ma per il canadese fu più che sufficiente per capire. Ed il seguito fu: sigarette per i nostri soldati,insieme con una più che benevola raccomandazione di radersi quelle folte barbe incolte,e per farsi capire accompagnarono le parole con un loquace gesto della mano che facevano scorrere sulla guancia a mo’ di rasoio.Per noi,cioccolata, l’ormai dimenticata cioccolata,che da più di tre anni non vedevamo.
Poi,come in processione,accompagnammo quei canadesi e quell’autoblindo,trionfalmente,a Piazza del Popolo,e noi, mocciosi,fummo i garanti di quella pacifica “invasione”. E tutti intorno ad osservare i nuovi “alleati”,e il vestiario, e le calzature,ed il loro autoblindo,a dir la verità non proprio elegante nella linea,ma,probabilmente,molto efficiente. E mentre tutti cercavano di accattivarsi le simpatie dei nuovi arrivati,si faceva largo,tra la folla,il nostro stimato concittadino,lo scrittore Costabile Guidi,con la caramella appiccicata all’orbita dell’occhio buono (l’altro era di vetro, essendo grande invalido di guerra) che,masticando un pò di lingua francese,cominciò a scambiare con loro qualche parola.
E fu la cosa che contribuì ad instaurare un più stretto rapporto di familiarita tra noi e quei soldati.
Conclusione:L’improvvisata di quella staffetta alleata, in avanscoperta, ci risparmiò,forse,uno Status di Profughi, con tutti i disagi che puó commportare una tale tragica situazione.Mio padre risparmiò alcuni litri di quella preziosa benzina che aveva messa da parte,e mia madre evitò di farsi sballottolare le cose più care; Per noi cominciò l’lmpatto con quella cosa ancora per noi sconosciuta:la democrazia;
E tutto ciò ?Grazie alle grosse bugie di Radio Badoglio…
Ernesto Scura