Elisa ha 5 anni e mezzo e scende ogni anno con i suoi in vacanza da queste parti. Vive al nord, in un posto in cui non c’è il mare, dunque appena chiuse le scuole si parte per la casa di famiglia che si affaccia sul mar jonio, in quella zona attaccata alla foce del Trionto chiamata Pantano Martucci. Elisa nel pomeriggio di sabato inizia ad avvertire dei dolori allo stomaco, che via via diventano sempre più lancinanti. Bisogna portarla al Pronto Soccorso. Dov’è quello con Pediatria? Corigliano. Paese. Ok, si parte.
Per tutta una serie di motivi mi trovo anche io nella compagnia che inizierà, esattamente alle 21.15 di un afoso sabato sera di luglio, un viaggio incredibile nelle plaghe di quella cosa chiamata sanità calabrese.
La fortuna di avere autoctoni come noi dissolve il problema di come arrivare all’ospedale di Corigliano. Si usa la strada di Piragineti, quella che ti evita il giro lungo. Tranne che in un paio di abitati quella strada è tutta completamente al buio. Curve e strettoie ci accompagnano mentre Elisa piagnucola per il dolore. Al bivio del cimitero di Corigliano giriamo a sinistra, scansando i crateri e i cocci di vetro ai bordi della strada riusciamo ad arrampicarci dalle parti dell’ospedale. Abbiamo fatto 27 chilometri, ma ora il problema di Elisa di sicuro lo risolviamo.
All’ingresso del pronto soccorso, il cui personale è davvero da encomiare per le condizioni in cui è costretto a lavorare, la mamma di Elisa deve portarsela in braccio fin dentro la sala visite. Non ci sono sedie a rotelle per bambini. Mi siedo in sala d’aspetto. Dopo una visita e i primi controlli veniamo spediti in Pediatria per le analisi del caso e la visita. Primo piano, Elisa sempre in braccio ma per fortuna è solo una rampa. Per non fare casino e non affollare il reparto io mi fermo in sala d’attesa. C’è l’aria condizionata, ed è già una bella cosa quando fuori ci sono almeno 35 gradi. Arriva un’ambulanza e scarica una barella, signora con dolori addominali. Dall’interno della sala visite giungono le urla di rabbia del personale. Riesco a capire una cosa che turba me abbastanza e fa incazzare letteralmente l’accompagnatore della signora in barella: nell’ospedale di Corigliano non funziona l’ecografia. Il personale di guardia bestemmia contro la centrale che continua a mandargli pazienti cui necessita l’esame ecografico e tocca a loro dare la bella notizia: bisogna rimettersi un ambulanza e andare all’ospedale di Rossano.
Mi faccio due riflessioni, mentre nella sala d’aspetto leggo un libro ritrovato miracolosamente nel mio zaino. Corigliano ha Pediatria e, soprattutto, Ginecologia. E non hanno l’ecografia. Mentre inizio a pensare che la serata sarà più lunga del previsto arriva un tizio trafelato. Spiega che a sua moglie si sono rotte le acque, un’infermiera gli fa segno di prendersi una sedia a rotelle e tirarla giù dall’auto. Lui perplesso chiede “lo faccio io?” poi quando ottiene in risposta un sorriso sarcastico afferra l’aggeggio e corre verso la macchina. Non oso pensare cosa succederà se la quasi neomamma avrà bisogno di fare l’ecografia. Spero non accada nulla di tutto questo.
Nel frattempo mi chiamano dal reparto. Elisa ha fatto le analisi, i valori sono nella norma. Mentre arrivo in stanza sento il Pediatra consigliare, per sicurezza e per escludere definitivamente qualsiasi altra cosa, l’esame ecografico. Un brivido mi corre lungo la schiena. Io so una cosa che loro ancora non sanno ma che apprenderanno dopo pochi secondi. Bisogna andare in un altro ospedale. Torniamo al pronto soccorso, sempre bestemmiando uno del personale prova a mettersi in contatto con l’ospedale di Rossano. Ai primi 5 tentativi non risponde nessuno, al sesto riesce a beccare il centralino. Chiede chi ci sia di turno in Radiologia, perché c’è anche il rischio di beccare chi non è addetto all’ecografia. Ci guardiamo negli occhi terrorizzati. La risposta è affermativa, possiamo partire.
Ci rimettiamo in auto, il caldo dopo l’aria condizionata ospedaliera ci mangia la pelle. Rifacciamo la strada buia e piena di curve, superiamo il Cino d’un balzo e arriviamo a Rossano. Altri 13 chilometri fatti. La città è deserta, sono tutti sul lungomare gli assennati o a casa rinchiusi con i climatizzatori. Arriviamo all’ospedale, Elisa sempre in braccio alla mamma perché ovviamente non c’è nulla per trasportare bambini. Il reparto è al secondo piano. Prendiamo l’ascensore, ovviamente. Ma è guasto, un cartellino blu ci avverte che per andare a Radiologia devi fartela a piedi per due piani. Saliamo, in lenta processione. Nell’androne del reparto non c’è neanche la condizionata, due pale attaccate al soffitto girano smuovendo aria calda su aria calda. Entriamo in reparto, dopo un quarto d’ora Elisa è dentro con la mamma. Furbescamente riusciamo ad intrufolarci in sala d’attesa, qui un climatizzatore nuovo di zecca tiene a 20 gradi la temperatura. Ci rilassiamo, attendendo l’esito dell’ecografia. Ci hanno detto che se non c’è nulla possiamo riportare Elisa a casa. Un altro dubbio ci sorge, atroce.
Esce l’addetto con i risultati. Tutto ok, nessuna anomalia. Tiriamo un sospiro di sollievo. E’ mezzanotte più o meno. Però, ed ecco che il nostro atroce dubbio trova conferma, bisogna ritornare all’ospedale di Corigliano, far vedere i risultati ed ottenere la liberatoria prima di tornare a casa. Le nostre giuste e sacrosante rimostranze non sortiscono alcun effetto. O Corigliano o Corigliano. Rifacciamo due piani a piedi sempre con Elisa sulle braccia della mamma, e via di nuovo altri 13 chilometri per tornare a Corigliano paese. Finito tutto di nuovo altri 27 per rientrare a casa.
Tirando le somme abbiamo macinato 80 chilometri e visitato due ospedali per un mal di stomaco.
Tirando le somme se ci paragonano al terzo mondo quelli del terzo mondo ci querelano.
Tirando le somme la sanità è solo un mero spot elettorale, per chiunque abbia il potere di gestirla, e tutto sulle spalle dei cittadini.
Tirando le somme viviamo in una regione in cui uno Spoke come quello di Corigliano non ha l’ecografia, in cui il personale lavora in condizioni clamorose, in cui si rischia la rissa con i degenti o i parenti dei degenti che non hanno tempo e voglia di analizzare le pecche della gestione sanitaria ma vorrebbero solo prendere a schiaffi chi gli dice che devono rimbalzare da un posto ad un altro per quello che poi è un diritto sacrosanto, il diritto alla salute e all’assistenza sanitaria.
Tirando le somme Elisa è fortunata a vivere fuori da qui.
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Dr. Francesco Ratti
Account Manager