del Prof. Aldo Lucisano
…Solitudine..solitudine..quanta malinconia! Recitava così un vecchio adagio quando ancora questa condizione dell’anima non rappresentava un vero flagello.

Migliaia sono le pubblicazioni che la radiografano cercando di coglierne l’essenza per addolcirla, sublimarla, quantomeno tamponarla con esiti sempre parziali e sfuggenti.
Di solitudine, questa sì invincibile e mai così pervasiva e dilaniante, si soffre e si muore senza sconti per nessuno.
Privilegia, per ovvi motivi, gli anziani, ma non trascura ( in questo è molto democratica ), altre fasce d’età.
Il covid, poi, ha ampiamente contribuito a dilatarne la platea, con il suo funesto carico, trovando terreno fertile nei bambini prigionieri in spazi angusti, esiliati e privi di amici, negli adolescenti e nei giovani adulti, senza scuola, o, quella che ne rimane con la sua parodia, intrappolati nella falsa socialità dei totem tecnologici.
E poi loro, gli anziani, nella solitudine delle loro case o delle Rsa, privi di contatti, senza figli e nipoti cui stringere la mano e guardare negli occhi, nessuno a cui rivelare la propria paura.
La paura delle tante Marinelle che vanno via in silenzio, nel più completo deserto affettivo e sociale .
Marinella, pensionata, dei suoi 70 anni due li ha offerti ad un lungo congedo : è rimasta seduta sulla sedia del suo tinello, in una villetta alle porte di Como, nessuno l’ha disturbata nella solitudine fatta persona, un malore le ha staccato la spina, una morte istantanea e solitaria.
E poi esistono le solitudini che diventano pazzie, come l’uomo che ha tenuto in casa, per quattro mesi, il cadavere della compagna di novant’anni ,.. e che adesso , dopo essere stato scoperto, si dispera perché, quando torna a casa, non c’è nessuno ad aspettarlo.
Gli anni consentono alla mia memoria il ricordo di famiglie ramificate e caotiche, in un ‘Italia contadina, al cui interno le solitudini si sopportavano e si addolcivano comunitariamente. Si tratta di compiti complessi, ma ormai è coscienza diffusa che , la perdita delle reti che collegano le persone, ha un effetto deleterio sulla qualità e sulla durata della vita.
La morte, evento solitario per eccellenza, diventa ancora più straziante per via della graduale rottura di tutti i residui legami con la società. Ci chiediamo a volte che fine ha fatto qualcuno che conoscevamo, e scopriamo per caso le vicissitudini di vecchi amici che abbiamo perso di vista.
Scorre la vita e, poi improvvisamente si interrompe. Montaigne diceva che si muore non perché si è malati, ma perché si è vivi. 
La famiglia moderna è ridotta a un pugno sempre più stretto: due coniugi e un paio di figli, nella migliore delle ipotesi. E quando non ci sono nemmeno i coniugi e i figli, restano le Marinelle ad annaspare.
È stato, infatti, dimostrato che la solitudine abbrevia la vita e aumenta il rischio di malattie, in particolare la demenza, esercita un’influenza negativa sulla salute, i cui effetti sono paragonabili a quelli indotti dal fumo di sigarette per 15 anni.
Si muore soli e si vive soli, che è peggio.
Coloro che “ parlano bene “affermano che un elevato grado di solitudine è parte inesorabile dell’esistenza Tutti dobbiamo morire …da soli , è un peso che tocca a noi soltanto sopportare, gli altri ci possono donare parole di incoraggiamento, di sollievo, di speranza, ma nessuno può sostituirci.
E dopo questa botta di ottimismo…..via le mascherine e con esse le solitudini.