“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” diceva il mitico Trapattoni, e noi, generazione Baby boomers , pensavamo di averla sfangata.
Quel “ gatto” lo consideravamo già nel “ sacco” pur non avendolo mai catturato, e allora, ahinoi, l’autocrate di turno ha provveduto a farci barba e capelli.
Tanto abbiamo “gufato” menandola con la prima generazione fortunata, immune da devastanti pandemie e guerre, che il fato ( questa volta con le sembianze del KGB ) ha provveduto.
Stiamo rapidamente recuperando e ..con gli interessi.
Sia pur, fortunatamente, non coinvolti direttamente, gli “ occhi senza sguardo”, come Zelensky ha definito il criminale dittatore russo, (molto probabilmente affetto da “nebbia cerebrale“, un annebbiamento mentale associato agli effetti del Long Covid che potrebbe aver compromesso le sue funzioni cognitive), ci ha imbandito un’orrida pietanza , con tutti gli ingredienti necessari: morti, devastazione e profughi a migliaia.
Dopo oltre 70 anni e due generazioni, la guerra in Europa viene servita in presa diretta.
Con questa ulteriore “performance” , quella tanto vagheggiata ed inseguita “normalità “ è svanita del tutto, ristagnando, forse, a difesa dell’ inconscio.
. E se “ noi”, ( generazione anni 50/60 ) tutto sommato, tra i lusco e il brusco, abbiamo raggiunto una “certa”, cosa devono pensare figli e nipoti ?
Pòviri Figghji ! Li abbiamo costretti al distanziamento sociale, segregati con il lockdown, puniti con la dad , abbiamo frantumato sogni e speranze violando la loro sacrosanta giovinezza, gli abbiamo rubato due anni proiettandoli in una maturità forzata e artificiale, ed ora riveliamo loro che la vita non è un videogioco, ma è fatta anche di bombe, distruzioni e lutti .
L’impatto psicologico della pandemia è stato fortissimo per tutti, ma particolarmente per bambini e adolescenti, a questo, oggi si aggiunge quello devastante di un orrore che credevamo dimenticato nella storia della Seconda guerra mondiale. Quella innocenza che derivava da una pace duratura e da un benessere acquisito è persa definitivamente.
Le immagini che ci arrivano da Kiev con i palazzi sbriciolati da razzi e bombe e i feriti dal viso sfregiato, così come quelle delle bare di Bergamo sui carri militari e del Papa che prega nel deserto di piazza San Pietro, sono un trauma con il quale dovremo fare i conti per sempre.
Il virus e l’Ucraina stanno destabilizzando non solo il mondo, ma anche le nostre menti, I nostri cuori . Ignoriamo quali ripercussioni potrà avere questo conflitto sulla stessa pandemia, la storia ci ricorda che la “spagnola” crebbe in ogni dove durante la Prima guerra mondiale.
L’esempio di coraggio che oggi stanno dando l’Ucraina e la sua gente è legato a un senso fortissimo di dignità personale e di appartenenza collettiva, all’idea che vi sono cause per cui la vita può essere sacrificata, nonché la convinzione che non deve essere tollerata la prepotenza di chi vuole imporci la sua volontà.
L’amore per il proprio Paese, per la sua storia e i suoi costumi, è lo stesso che genera eroismo. Ne è esempio il coraggio di un gruppetto di marinai indifesi, i quali, di stanza su un insignificante isolotto del Mar Nero, alla nave russa che gli intimava la resa rispondono «fottetevi!» pur sapendo la fine che avrebbero fatto.
I tempi che stiamo vivendo mostrano come possano mutare repentinamente le vicende, le idee e gli scenari che credevamo certi e consolidati e quanto possa rivelarsi fragile tutto ciò in cui credevamo. Molte cose, insomma ,sono destinate a non durare più. Ma del coraggio e di ciò che lo alimenta è difficile che non ci sia più bisogno.