di FABIO MENIN
Nella discussione di fine e inizio anno nuovo sul destino industriale o meno del porto di Corigliano-Schiavonea c’è un aspetto che non è stato sufficientemente attenzionato , né dai giornalisti che fanno pubblicità agli stranieri americani, né dai pochi oppositori tra pescatori e cittadini che ancora credono nell’impegno civile a vantaggio di tutti.

Secondo il progetto della Baker Hughes, multinazionale dei combustibili fossili, a Corigliano sulla banchina n. 2 si dovrebbero verniciare delle enormi turbine di 30 metri di lunghezza e 20 o più di altezza, insieme a dei compressori altrettanto enormi. A me non importa se li vogliamo chiamare ecomostri o caramelle per digerire la fame di lavoro. A me importa che l’industria pesante, qualunque essa sia maneggia una quantità di prodotti tossici tale che per legge fisica semplice, che anche i bambini possono comprendere, ha degli scarti di lavorazione, o per via acquatica, o terrestre o aerea che inevitabilmente, qualunque filtro ci venga messo, contamineranno il pesce che a 20 metri viene commerciato e venduto dai pescherecci ai piccoli commercianti che poi lo portano sulle nostre tavole.
La domanda quindi che pongo a tutti è : SIAMO DISPOSTI A GIOCARCI IL PESCE DEL MARE JONIO IN CAMBIO DI 60 POSTI DI LAVORO?
E’ perfettamente inutile che giornalisti con lauree lucidate a specchio nei salotti degli pseudo industriali delle nostre parti, portino nella città dipendenti degli americani per fare pubblicità ai loro padroni. Dovrebbero vergognarsi, ma questo attiene alla coscienza dei singoli, perché è vero che le pance di molti sono vuote, ma se le riempiamo di vernice industriale miscelata al nostro pesce non credo che abbiamo fatto un buon affare.
Mi meraviglio che le autorità portuali che avrebbero permesso questo tipo di attività, e qualunque autorità politica, sia presidente di regione o sottosegretario al governo centrale, possa pensare secondo le leggi della Repubblica italiana di collocare e spargere tonnellate di vernici tossiche dentro un capannone a 20 metri dal principale mercato ittico del Nord dello Jonio.
Possono dare tutte le rassicurazioni che vogliono, ma se la legge dice che la grande industria deve stare nei luoghi deputati alla grande industria e non si possono mischiare alla piccola industria alimentare ci sarà bene un motivo o forse siccome questi signori delle turbine sono americani le nostre leggi non valgono più?
Per giunta la pretesa questa volta è assai strana, perché a meno di un km dal porto ci sta una zona che è già industriale, quindi, questa pretesa dei signori americani suona proprio come una richiesta di possesso del nostro porto che diventerebbe un punto di smercio degli affari di una multinazionale americana, impedendo approdo di pesca, e qualunque altra attività commerciale compreso attracco di navi da crociera. Naturalmente a casa sua ognuno è libero di vendere la sua terra a chi meglio crede, ma la terra del porto di Corigliano non è di proprietà di alcun privato, a parte 5 piccoli pezzi di terra che ancora sono accatastati a privati, ma della pubblica cittadinanza.
Io non penso che la nostra area sia nelle condizioni di povertà tali da dover svendere il proprio porto a dei signori che sicuramente lasceranno inquinamento e altro senza dare nulla di più che 60 posti di lavoro, poi se adesso pensiamo che l’unico porto che ha la Piana di Sibari lo possiamo tranquillamente regalare a gente che non lascia nulla a noi, visto che il porto finora è stato pochissimo utilizzato io non mi aggiungo a questa lista di “ pensatori economici”.
NE VALE DAVVERO LA PENA?
FABIO MENIN

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