Azz…che argomentino allegro e di elementare trattazione! Quasi quasi, mò me lo segno alla Troisi.

Giriamola come vogliamo è il pensiero dei pensieri, condannati, come siamo, a viverlo come spada di Damocle. Ineliminabile e invalicabile. E’ l’inevitabile destino umano che, per molti, conferisce significato all’esistenza. Solo l’uomo ne ha consapevolezza, in questo senso beati gli animali

Affrontato e discusso, nel corso dei secoli, in mille modi da centinaia di menti illuminate o meno alla disperata ricerca di farsene una ragione, di trovare conforto, di ignorarla o blandirla in una sempre sfuggente razionalizzazione, per tanti la morte appare inaccettabile, oscena, scandalosa e ingiusta, non la naturale conclusione di un percorso senza ritorno.

Ha quindi ragione il Savonarola e, prima di lui, l’immancabile S.Paolo con il suo estote parati.

Fatto sta che io apro porte e spalanco stanze ma, a fronte di quanto dice S.Agostino ..Sono solamente passato dall’altra parte… è come fossi nascosto nella stanza accanto” ( in realtà è un componimento di Henry Scott Holland, canonico della Cattedrale di St. Paul, all’inizio del XX° secolo) dei miei cari, dei miei amici, di coloro che mi hanno preceduto, non c’è traccia …si sono nascosti molto bene.

Adesso, a parte un tentativo di ironia (leggerezza e ironia, del resto, sono le uniche armi per esorcizzare il “passaggio”) cos’altro rimane se non le parole.

Quando ci siamo noi, la morte non c’è; quando c’è la morte, noi non ci siamo” dice Epicuro ma, con filosofo greco non è d’accordo un suo collega, nato qualche annetto dopo.

Secondo il prof. Cacciari, infatti, morte e morire non sono la stessa cosa: la morte è una cosa il morire un’altra.

Il problema è, dunque, il morire.

In realtà moriamo ogni giorno, cotidie morimur.

La morte in sé non è un evento improvviso, ma la conclusione di un processo di decrescita che avviene continuamente; possiamo dire che iniziamo a morire appena nasciamo. Ma la stessa vita si costituisce proprio di fronte alla morte, e soltanto quando noi siamo, la morte è. È la faccia nascosta della nostra vita (Rilke), e alla vita appartiene.

Paradossalmente, forse, pensare alla morte ci aiuta a vivere. Lo stesso Freud ne da conferma: Se vuoi sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte. Si vis vitam,para mortem.

Il cristianesimo conforta in parte e solo i fortunati che hanno il dono della fede.

Per chi vive filosoficamente, lontano da ogni trascendenza e spiritualità religiosa, la risurrezione, per es., appare un’espediente strumentale ad uso e consumo non di credenti ma di creduloni.

L’ «attesa», più o meno angosciata nella salvezza risorgiva in un mondo ulteriore, ha costituito uno dei più potenti apparati dottrinari e persuasori morali.

La morte per il cristiano è il felice momento che segna il passaggio per l’al di là verso la resurrezione E’ una resurrezione, appunto, per l’al di là. La vita, perciò, è tutta spostata fuori dalla vita; in questo senso anche le feste dei Santi sono feste di morte,

si celebrano nel giorno della morte del Santo; nel suo dies natalis.

Il calendario cristiano per i tanti, atei è il calendario dei morti-vivi. Nelle rappresentazioni pittoriche, nella poesia, primeggiano i Trionfi della Morte.

Se ci si chiede come mai tanti popoli si siano adattati a una visione così triste e contro natura della vita, si può rispondere (come molti storici hanno provato a rispondere) che le ricorrenti terribili epidemie che hanno devastato l’Europa nel secondo Medioevo possono avere indotto a sperare nell’al di là più che nel di qua; ma è una risposta assolutamente inadeguata e soprattutto “disumana.

Il Salmo 90 recita: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio».

. Noi siamo su questa Terra consapevoli di avere, per così dire, una data di scadenza, esattamente come lo yogurt

Questo inevitabile senso del limite può generare in noi angoscia e apprensione; cosa possiamo fare?

Quello che tanti atei e religiosi consigliano. Credo che, in vista della fine, occorra un lavoro di depurazione che ciascuno può compiere con i propri mezzi e in base al proprio carattere.

Imparare a perdonare, (un reale perdono è cosa alquanto ardua) espellere da sé le tossine dell’odio, del male. Qualcuno avrà bisogno di farlo perdonando gli altri, qualcuno dimenticando… quello che è decisivo è buttare fuori, espettorare le scorie corrosive del risentimento; riconciliarsi non solo con il prossimo ma specialmente con se stessi, :perdonare e perdonarsi.

Alla fine del percorso avremo bisogno di guardarci con occhi benevoli e accettarsi, con serenità e, forse con gioia.

Mi piace riportare, in conclusione, i pensieri di un grande filosofo Marco Aurelio,imperatore e filosofo «Mentre il pane si cuoce alcune sue parti si screpolano e queste venature che vengono così a prodursi, e che in un certo senso contrastano con il risultato che si prefigge la panificazione, hanno una loro eleganza e un modo particolare di stimolare l’appetito.

Ancora: i fichi pienamente maturi si presentano aperti. E nelle olive che dopo la maturazione sono ancora sulla pianta è proprio quell’essere vicine a marcire che aggiunge al frutto una particolare bellezza».

Non solo i fichi e le olive: anche noi siamo sul ramo, più o meno vicini a cadere e disfarci; per quanto ciò possa apparirci «contrario», sapere che fino alla fine noi possiamo essere bellezza, produrre bellezza, vivere secondo i propri valori o nel coltivare relazioni positive dovrebbe essere per noi la più grande consolazione di fronte all’idea della morte.