Non siamo fortunatamente ai titoli di coda ma certo la Democrazia non gode di buona salute.  Basta dare uno sguardo alla nostra cara Europa per rendersene conto, se poi proviamo a zumàre sullo Stivale ci accorgiamo di non stare meglio: ultima marachella, in ordine di tempo, la porta in faccia ai sindaci campani.

Atene ce l’ha consegnata nel V sec a. C e noi ne stiamo facendo strame.

Aggredita, vandalizzata e umiliata, circondata da iene e sciacalli in veste di dittatori e dittatorelli.

Quante lotte e quanti sacrifici è costata la Democrazia, che poi vuol dire Libertà, a chi ci ha preceduto è cosa mai ovvia e scontata.

Un pilastro di simile sistema di governo è sicuramente il voto.

Tutto gira intorno al voto, una forza che tiene insieme un sistema complesso e dinamico di partecipazione e decisione fondato sul principio egualitario una testa/un voto e sulla regola di maggioranza atta a risolvere il problema politico più difficile: cambiare governi e leader senza l’uso della violenza e senza rovesciare l’ordine politico.

E’dal 1861 che votiamo, certo gradualmente, attraverso vari passaggi.

Per esempio le donne ottennero il diritto legale di votare e di candidarsi per le elezioni solo il 28 maggio 1952.

E veniamo ad oggi, un salto di oltre 70 anni. Da tempo il primo partito è quello del non voto e non solo in Italia. Un indicatore parla di disaffezione, ma non è l’unico.

Siamo indifferenti, individualisti, non abbiamo voglia di informarci e di conoscere la politica – “la più alta forma di carità” – del proprio Paese, inoltre contribuiscono apatia, disimpegno, protesta, mutamenti sociali e innovazione tecnologica, il risultato è che ci si avvicina sempre di più al fatto che solo una persona su due si reca alle urne. E ogni volta ci si scandalizza. Perché?

Ulteriori lumi ce li forniscono alcune menti dei secoli scorsi-

L’avrà o non l’avrà detto Mark Twain non ha importanza ma contiene molta verità «se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare» e ancora..parafrasando Jean-Jacques Rousseau possiamo dire “Il popolo ……. crede di essere libero, ma si sbaglia di grosso; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del Parlamento; appena questi sono eletti, esso torna schiavo, non è più niente.”

Tra l’altro alcuni considerano il voto illegittimo proprio per una questione di libertà e non di etica o morale.

Secondo questa tesi il voto contribuisce ad affermare il dominio di alcuni uomini (politici e burocrati, ergo parassiti) su tutti gli altri. E non di rado accade che siano persino delle minoranze ad imporre la loro “dittatura democratica”.

E non mancano esempi (paradossali): a chi sostiene che il voto è sinonimo di democrazia (dal greco, potere del popolo) val la pena ricordare che nel 1921, grazie al voto, in Italia ha preso il potere un tal Benito Mussolini e in Germania, nel 1933, un certo Adolf Hitler.

Le dittature non sempre nascono da cruenti colpi di Stato, ma da democraticissime votazioni.

Ulteriore motivazione del partito del non-voto è la sfiducia nella politica in generale (e di quella italiana in particolare), che tradotto significa: “Non trovo una forza politica che mi rappresenti adeguatamente e di cui mi possa fidare”.

Le ondate populiste che si sono susseguite dagli anni ’90 (post Tangentopoli) sino ad oggi – cioè quelle forze politiche che, tronfie, si atteggiano a risolutori degli endemici mali italiani – hanno mostrato la corda, una dopo l’altra. E poi, stiamo tranquilli: Il popolo è Sovrano! Mai fregatura fu così finalizzata ad infinocchiare.

Di fronte al Leviatano -Stato che potere ha il singolo individuo, privo di agganci e raccomandazioni? Perché allora dovrebbe continuare a votare?

Sappiamo che l’esercizio del voto è “un dovere civico”, così dice La Costituzione all’articolo 48 –eppure, ad un numero crescente di cittadini, il richiamo alla Carta costituzionale – ed alla lotta di liberazione dal fascismo che ha portato alla nascita della Repubblica – non appare più o appare sempre meno come argomento convincente. E così non vota. .

In Italia – forse alcuni di noi non lo ricordano neanche più – il voto è stato obbligatorio fino agli anni Novanta, e poi a un certo punto abbiamo deciso di eliminare l’obbligo.

Da queste constatazioni necessariamente superficiali si potrebbe reiterare la fatidica domanda: serve ancora votare? E se non cosa fare?

In molti si sono posti questo interrogativo, ma in pochi hanno risposto con una proposta altrettanto radicale e sorprendente come quella di David van Reybrouck: una soluzione radicale: abolire le elezioni e selezionare i componenti delle assemblee legislative tramite sorteggio per determinare chi ha la responsabilità di scrivere le leggi dello Stato. Tale pratica era in uso già ad Atene, a Venezia, a Firenze e in numerose altre città.

Ma poi ci chiediamo perché sorteggiare i parlamentari più o meno come si fa con le giurie popolari nei tribunali dovrebbe sortire risultati migliori di quelli attuali? Selezionare un politico incompetente tramite sorteggio è deleterio in egual misura, anzi, nel caso del sorteggio, deresponsabilizza i cittadini/elettori, e li priva del meccanismo della valutazione, e della conseguente sanzioni, ossia della non rielezione. Insomma, siamo nel campo delle impressioni, delle opinioni più o meno autorevoli e competenti.

Van Reybrouck porta alla luce un dibattito sui pregi e i difetti della democrazia e offre al lettore una serie di idee nuove, esperienze pratiche, tentativi concreti di nuovi modelli di governance, ma non dirada la nebbia e allora, è forse vero che il voto serve ma certo …non apparecchia. ( sic! )

 

 

 

 

 

 

 

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