Si erano soltanto acquattati in qualche piega dell’inconscio. Non se ne erano mai andati. Serviva loro un nuovo brodo di coltura per tornare a germinare e spadroneggiare, seminare paura e angoscia.
Rieccoli ,allora, i mostri semantici, pronti a riprendersi la scena. Guerra nucleare, pandemia, quarantena, cordone sanitario, coprifuoco, economia di guerra, bunker, razionamento, recessione e non ultimo austerità e l’elenco potrebbe continuare in questo sciagurato inizio ventennio del Duemila- E poi c’è lei, la parolina che in inglese suona meglio : austerity. «Non siamo assolutamente in un’economia di guerra, – ha rassicurato il premier-ma dobbiamo comunque prepararci a ri-orientare le nostre fonti di approvvigionamento e ciò significa costruire delle nuove relazioni commerciali». … ;Mah..sarà.. Lo scetticismo si insinua e non del tutto a torto. Non è la prima volta che le rassicurazioni di..Stato si sciolgono come zollette nel caffè . Come spiegare, diversamente, l’inganno di una micidiale pandemia, precedentemente derubricata come semplice influenza ? O di una Guerra disastrosa al centro dell’Europa, disinvoltamente annunciata come semplici scaramucce, per di più distanti da noi? Altro che Pandemia! E’ incapacità di prevenire, di anticipare, di liberaci, una volta per sempre ,della sindrome del Titanic che affondava mentre l’orchestra suonava.
E’ pur vero che l’economia di guerra è un’economia di cose, di cose che mancano. Un’economia di pane, di latte, di sapone. Un’economia di fame. «Non possiamo ancora dire di essere piombati in un’economia di guerra –ci spiegano – perché le cose ci sono. C’è la luce, anche se costa di più, ci sono i soldi, ci sono le banche aperte. La guerra non la vediamo, ma cominciamo a sentirla». Siamo quindi lontani da un’economia di guerra? È la percezione che oggi ci fa paura? Viviamo una guerra immateriale, anche se ci accorgiamo che la benzina è aumentata come la bolletta. La guerra la sentiremo davvero quando dall’immateriale si passerà al materiale e cominceremo a percepire i disagi fisici.
La mia generazione ben conosce la new entry Austerity .Correva il 1973 ( ah…com’ero giovane…e non lo sapevo ) , ed improvvisamente ci ritrovammo senza petrolio ( non avevo la macchina, dunque… non me ne poteva fregar de meno ), serbatoi a secco e tutti a piede, negozi chiusi alle 19,00, insegne spente, nemmeno le auto blu potevano circolare , un tripudio di pattini a rotelle, monopattini «a propulsione umana», come si ironizzava allora, in attesa di quelli elettrici, riscaldamento entro i 21 gradi, limiti di velocità ; la benzina schizzò da 150 a 200 lire al litro, garantiti solo i servizi essenziali fra i quali erano compresi i preti, designati nel dpr “ministri del culto”, ma solo in città. E multe, abbastanza salate, da 100 mila a un milione. Dopo tutto, le domeniche a piedi non durarono più di quattro mesi, e si era risparmiato nulla. Era l’addio all’età dell’oro e la conferma della nostra miopia : molti nuvoloni si addensavano sul nostro futuro . Quell’inverno di austerity del 1973 fu una grande occasione persa dall’Italia per mettersi in testa che quello delle risorse energetiche è un problema serio col quale fare i conti. Anche allora cominciò con una guerra, un fronte di paesi arabi contro Istraele, ma poi la buriana passò ed i comuni mortali ( diciamo la verità ) quasi non se ne accorsero Sarà che forse c’era meno consapevolezza ma eravamo ben lontani dalla cupezza d’oggi, c’era più allegria pur trattandosi di una crisi epocale ( come ben capii ..dopo ), della fine di una crescita senza limiti,. Oggi non siamo difronte alla la vecchia austerità fatta più di simpatia che di sacrificio, adesso si parla di recessione, di una guerra che ha già cambiato il mondo, bisogna agire subito per la mancanza di materie prime sul mercato in tutti i settori ,diversificare i mercati: comprare grano in Canada, ghisa in Brasile, petrolio e gas in Congo.
Siamo coinvolti e non resteremo a lungo gli spettatori che nell’happy hour brindano alla salute dei combattenti.
Il Covid è stato un evento drammatico, (e non ne siamo ancora usciti ), gli effetti della guerra sono ancora tutti da vedere. Nell’immediato c’è una dimensione che ci tocca ed è quella dei profughi, una dimensione molto diversa dalla quella percepita nella pandemia che aveva alimentato solitudine ed egoismo. Ognuno di noi era un pericolo per l’altro. Oggi questo sentimento sembra superato. La guerra sta compattando una fascia ampia della popolazione, che si offre per il volontariato e che si sente vicina alla gente che non conosce.