Sabato, otto febbraio, alle ore diciannove e trenta circa rientravo a casa dopo la mia breve passeggiata intorno alla villa comunale dello Scalo. Ho salutato mia figlia, che andava a buttare i rifiuti, sulla soglia del portone d’ingresso del condominio di via Sibari 18, dove abito con la famiglia. Varcato il portone d’ingresso, che automaticamente si chiude, ho fatto, con l’ausilio delle mie stampelle, alcuni metri della rampa di accesso per disabili, che abbiamo realizzato nell’androne del palazzo. Due giovani, dal bell’aspetto e decentemente vestiti,
bussano con colpi decisi sui vetri del portone facendo segno di aprire. Faticosamente e con calma torno indietro, apro e li faccio entrare. Mi sorpassano senza salutare e con la testa china raggiungono il mio ascensore. Poiché io impiegavo del tempo ad arrivare, mi sollecitano e educatamente mi domandano “ zio salite pure voi con l’ascensore “? Rispondo: sì, grazie e aprono le porte dell’ascensore, che si trovava a piano terra. Una volta raggiunti mi chiedono “ zio entrate prima voi “, rispondo ancora una volta grazie e tento di passare avanti. Nel tentativo di sorpassarli mi fermano e guardandomi in faccia mi dicono “ zio vogliamo il portafogli con il denaro “. Mi fermo e meravigliato li guardo negli occhi e chiedo “ cosa volete da me?”. Senza alcuna esitazione, il più alto, dopo aver estratto dalla tasca destra dei pantaloni un coltello, me lo mostra e risponde “ zio dacci subito i soldi “. Faccio un passo indietro e, poggiandomi fortemente sulla stampella sinistra, istintivamente, con l’altra cerco di colpirlo in testa. Non ci riesco perché con il braccio sinistro ferma il lancio e, con la stessa mano, mi blocca la stampella. Vistomi perduto, comincio a gridare aiuto e invoco ad alta voce e più volte, ma inutilmente perché non si sentivano le grida ai piani superiori, l’intervento dell’ex brigadiere Barone. Probabilmente a sentire il grado dell’autorità dei carabinieri hanno avuto paura. Il più alto, tenendomi sempre a distanza col bloccaggio della stampella, ordina al più basso di aprire il portone e tenerlo aperto. Così mi lascia spingendomi e, facendo due salti, raggiunge pure lui il portone. Si allontanano con calma verso Viale Michelangelo.
A quei due giovani atleti ventenni, probabilmente studenti, dal bell’aspetto e dal viso non consumato dal lavoro all’intemperie, vorrei dire: avete compiuto una tentata rapina, vi è andata male perché la preda vi si è rivoltata contro. Probabilmente era la prima volta e non siete dei professionisti. Rinunciate a questo genere di lavoro e al denaro che, ritenete, facilmente può procurarvi. Ritengo che il denaro, più di quello che i genitori possono darvi per il cinema e per lo studio, non sia indispensabile a un giovane. Anch’io e i miei coetanei alla vostra età neppure lo conoscevamo. Lo desideravamo per un gelato, ma i nostri genitori non avevano la possibilità di darcelo e molte volte non c’era nemmeno la possibilità di acquistare il pane. Che ricordi io nessuno pensava di fare una rapina per quattro soldi. Questa grave azione è severamente punita dalla legge.
Evitate giovani! Vi rovinate la carriera e, quindi, la vita per una pizza o uno spinello, che ricorderete per sempre. Quanta moneta potevo avere io, ultraottantenne, nel borsellino? E poi, non c’è vigliaccata più grande nella vita delle persone di quella che colpisce i piccoli, i vecchi e i disabili. Studiate al fine di avere un futuro migliore e contribuire al progresso della società. Anziché oziare, impoltronendo, dedicatevi allo sport o a fare qualche doverosa opera buona per la collettività, quale donare il sangue o sottoscrivere la donazione degli organi a seguito decesso, alleggerendo il peso di decidere ai vostri genitori.
Nella mia scala si trova una sezione di giovani arbitri e ho pensato che voi foste degli iscritti. Io, quando bussano al portone, apro sempre. Da oggi, mi scuseranno, non lo farò più. Questo è un altro effetto che la vostra azione ha prodotto, oltre alla mia turbativa e a quella della mia famiglia. A voi, invece, questo nobile atto, poteva procurare l’arresto, il probabile carcere, la fedina penale sporca e ai vostri papà il chiedere e pagare gli onerosi interventi degli avvocati.
E voi, moderni genitori di questa bella gioventù, fate in modo che essa non si bruci per una simile banalità. I giovani, che hanno tentato di rapinarmi, sono figli della nostra area (Corigliano, Rossano, Mirto) e non stranieri. Spiccavano perfettamente le parole sopra riportate.
A quell’ora i genitori dei due giovani rapinatori, di sicuro, erano già profumati, truccati e pronti per andare fuori di casa a cenare e ballare, anziché essere seduti a tavola per cenare con tutta la famiglia unita e discutere animosamente sugli avvenimenti giornalieri, estraendone gli argomenti più educativi e criticando aspramente l’utilità delle rapine per procurarsi denaro.
Inoltre, egregi giovani, avete dimostrato di non osservare e, opportunamente considerare, i progressi della nostra città. Sapete che siamo tele osservati continuamente ventiquattro ore su ventiquattro. Sto chiedendo ai Vigili urbani la procedura per leggere le pellicole di quel giorno e se vi dovessi conoscere, vengo direttamente io a parlare con i vostri genitori, oltre a farlo presente alla Benemerita Arma.
A quanti hanno la possibilità di essere ascoltati: la Famiglia, la Scuola, la Chiesa, spieghino a questi giovani il danno che procurano agli altri, alla propria famiglia e a loro stessi.
Il nostro Consiglio Comunale, che ci legge in copia e che Rossano vanta di essere costituito da giovani colti, ne faccia oggetto di dibattito, trasferendo la discussione anche nelle proprie sedi di partito.
Luigi Maccarrone
Rossano 19 febbraio 2014