In un Paese moderno e democratico ciò che non dovrebbe difettare è l’informazione asciutta ed obiettiva. In questo contesto di una informazione sostanzialmente inesistente unita all’aria distratta e vacanziera è certo ai più sfuggita la notizia che l’Agenzia per la Coesione Territoriale, che dipende direttamente dal Presidente del Consiglio, il 24 luglio ha diffuso la sua relazione annuale, che analizza i flussi di spesa 2015-16 del settore pubblico allargato, disaggregandoli per aree geografiche e per settori.

 In estrema sintesi si tratta di uno dei rari esercizi di riflessione sulle politiche pubbliche d’investimento e di spesa, ancor più interessante perché contiene un confronto inesorabile fra la spesa italiana e quella degli altri Paesi europei e ricostruisce la serie storica degli interventi finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno in un periodo molto lungo (1951-2015). Da questi dati nudi e crudi, emerge, tra l’altro, il sostanziale “azzeramento” di ogni investimento nel Mezzogiorno riferito alla sequenza cronologica 1951-2015. I dati di spesa non lasciano spazio al dubbio: dallo 0,68% del Pil nel decennio 1951-60 si passa allo 0,85% negli anni Settanta, fino al crollo del quinquennio 2011-2015, quando gli investimenti calano allo 0,15%, anzi “negli ultimi anni raggiungono un peso inferiore allo 0,1 % rispetto al Pil”. In altri termini, i nostri governi sembrano aver rinunciato a qualsiasi obiettivo di riequilibrio fra le diverse aree del Paese nonostante nelle previsioni del DPEF 2007-2011 si era stabilito su questo fronte un livello di investimenti ideale di almeno lo 0,6% del Pil, e comunque non inferiore allo 0,4%.E dunque nel mentre il nostro Sud affonda non c’è di meglio nella politica italiana di perdersi in strategie di posizionamento di singoli e gruppi in vista di un posto al sole per le oramai imminenti elezioni politiche del prossimo anno (almeno così si spera, perché in questi chiari di luna più di uno sospetta che non ci faranno più votare). Perdere di vista la triste realtà sopra illustrata dai numeri significa per questa classe politica meritarsi a dir poco l’ostracismo con ignominia da qualsivoglia futura prospettiva di impegno nelle pubbliche istituzioni da esse letteralmente saccheggiate nel corso di questi anni. Un tempo nel panorama politico nazionale esisteva il c.d. schieramento di sinistra ovvero di centrosinistra (senza trattino) che riusciva, sia pure con tante difficoltà, indubbi limiti ed approssimazioni, a fungere da voce della coscienza ponendo al centro la “questione morale” riuscendo poi a proporre una piattaforma culturale in grado di leggere ed interpretare i problemi e suggerire ipotesi di soluzione. Oggi invece impera la mediocrità ed il massimo dello sforzo profuso dagli ultimi governi espressi dai “nuovi virgulti” della politica italiana è stato quello di limitarsi alla prospettiva di brevissimo termine, per intenderci quella che non va al di là del naso, dimenticando che la gravità del contesto (sottosviluppo, immigrazione, welfare) avrebbe richiesto (e richiederebbe ancora) un impegno di ben altra caratura specie per il nostro meridione che permanendo la descritta situazione da qui a breve esploderà con effetti dirompenti per l intero equilibrio e di ciò che resta di un sistema Paese pure ridotto allo stremo. Di tutto questo ciò che resta dei partiti, gruppi e movimenti non sembra preoccuparsi impegnati come sono in disquisizioni intorno ad alleanze e collegi elettorali. Mi chiedo se almeno dopo questi gravosi impegni vorranno finalmente accorgersi di quel che lItalia e il sud sta bruciando (e non solo metaforicamente).