Accantonato il successo di pubblico delle giornate Fai
Vi è un nuovo, quanto screanzato, rituale dei giovani rossanesi di chiamare la loro città “paese”, di cercare di smarcare la loro identità dal borgo.
Molti di loro se dovessero raggiungere Piazza Steri partendo da Catiniti accederebbero a Google Maps dopo una manciata di metri.
In fondo è l’anatema di una città che si crede paese, pagando lo scotto dei suoi abitanti.
Sono finite ieri le giornate di primavera FAI, una lodevole iniziativa che ha rimesso la Chiesa al centro villaggio. Almeno per tre giorni. Ma da oggi cosa cambia?
Semplicemente, desolatamente e immancabilmente nulla. Il centro storico tornerà ad essere abbandonato, senza servizi igenici per i pochi turisti che vengono a riempirsi gli occhi in queste latitudini, i simboli chiusi a doppia mandata, una città, ex capitale dei possedimenti della continuazione ideale del più grande impero della storia dell’umanità, che continuerà a credere di vivere in un paese. Forse è arrivato il momento di dirci le cose in faccia e di andare oltre al “abbiamo mare, collina, montagna che distano tra loro 20 minuti”.
Serve cambiare l’approccio, la mentalità e rinvigorire il fuoco sacro dell’essere autenticamente bizantini.
Viviamo sopra uno scrigno: i nostri antenati ci hanno lasciato dei buoni fruttiferi e gli interessi sono sotto i nostri occhi per essere raccolti e dare un futuro anche a quei giovani che non conoscono la Panaghia, che Achiropita è solo un nome desueto, che prima che quasi tutte le sedi universitarie in cui dimorano sono mentre Rossano era. È tempo che ci diciamo qualcosa di pesante e che può sembrare paradossale: il solo Codex non porterà mai turismo a Rossano.
Questa è follia? No, è scavare nella bellezza del nostro centro storico, uno dei più grandi e fastosi dell’intero meridione. Ci proclamiamo bizantini e abbiamo abbandonato quel gioiello che era l’IRACEB (Istituto regionale per le antichità calabresi e bizantine) e rifocillato le caste culturali rossanesi.
Più di 130 palazzi gentilizi chiusi: caro sindaco, caro assessore che tanto e sinceramente vi state prodigando per aumentare il brand nostrano, chiediamo ai privati di aprirli.
Avranno sicuramente un ritorno, creando semplicemente un itinerario a pagamento con guide di ragazzi che ora sono a passeggio. Ogni famiglia nobiliare potrà puntare sul loro merchandising. Idee, non follie. Non ci vuole nulla a creare un percorso della bizantinità, tra chiese, monumenti che si concluda al Codex, perché deve essere la ciliegina sulla torta, non la torta intera.
Creiamo un itinerario museale: arte sacra, vita rurale dei nostri nonni, musei telematici.
Ai turisti piace la cianfrusaglia, piace sentirsi catapultati in epoche non vissute, il manoscritto in porpora è per l’élite. Sfruttiamo le grotte, sfruttiamo i vicoli che sono ancora incontaminati, sfruttiamo persino i ciottoli, ma sfruttiamo e spremiamo le nostre bellezze. Verranno in flotta i visitatori: è legge di natura. In caso contrario saremo bizantini, ma nell’accezione nefasta, rissosi e appagati da un incanto che non sappiamo valorizzare.
Resteremo un popolo che non sa nulla della propria storia, che chiama Pathirion ciò che si chiama Patìr. Resteremo quei giovani che chiamano l’ultima autentica Poleis greca in terra di Calabria paese e non città.
P. s. Per fortuna, ieri pomeriggio, anche grazie al servizio sul Tg1, c’èra la fila al Museo Diocesano e del Codex e Rossano Alta è sembrata tornare a risplendere di luce propria come nessun altro centro in Calabria, grazie alla sua storia. Visitatori in arrivio da tutta la regione e non solo: da Reggio, Lamezia, Catanzaro, finanche dalla “cugina” Siracusa e dalla Francia a lustrarsi gli occhi nella “città museo”.
Desolanti, piuttosto, erano i rossanesi – in fila anche loro quando lo potrebbero visitare durante qualsiasi settimana – che si sono accorti del Codex Purpureus Rossanensis, solo grazie a quel servizio sul Tg1.
Josef Platota
Luca Latella
(fonte: Cronache delle Calabrie)