Il Gay Pride approda in Calabria assieme a carri, frivolezze vere o presunte, travestimenti; un carnevale laico che si trascina dietro – per la seconda volta nella storia della regione – divisioni, crepe e finanche del chiacchiericcio molte volte sussorrato sottovoce.
Quando si toccano temi delicati, come può essere la libertà di vivere la propria sessualità autonoma e finalmente secolarizzata, si può continuamente scivolare nelle pozzanghere e ritrovarsi improvvisamente omofobi, xenofobi, razzisti, misogini e via discorrendo. Bene, mi ci butto con un tuffo a bomba, deflagrante.
La spettacolarizzazione dei sentimenti è di per se l’annullamento strutturale del sentimento in se, la rivendicazione non passa per le carnevalate che umiliano il batticuore e il groppo in gola quando ci si trova di fronte allo sconquasso dell’amore che ti sta dinnanzi a pochi passi. Il sentimento abbassato ai livelli degli adesivi su Instagram che richiamano al voguing, lo stile di danza nato nei locali gay frequentati da latino americani e da afro, l’occhio con la bandiera trans nell’iride, occhiali da sole con arcobaleno e megafoni. Un deserto di anoressia sentimentale.
Il vezzo di trasfigurare la cultura transegender è una deriva di diversità che deve rimanere tale nelle sua fragile mania di mostrarsi. La diversità non è un vanto e né tanto meno un orgoglio, la diversità è una nota stonata che compone melodie. È la diversità di Freddy Mercury nel primo video della storia con I want back free, la diversità di Pedro Almodovar con Tutto su mia madre, in cui la parola “frocio” e “ricchione” è sdoganata quanto per orgoglio e quanto come invettive ai danni di chi, anche tra gli omosessuali, si dividono in femmine deboli con destini deboli e donne forti con destini forti. La diversità è l’amore nella Finestra di Fronte di Ferzan Ozpetek di un amore che rende timidi e clandestini, di un mondo in cui verde non è albero e azzurro non può diventare cielo. La diversità tenera e ammorbante di Pierpaolo Pasolini.
Tutti grandi, tutti omosessuali, coloro che rappresentano il lato della luce e della forza: la sensibilità gay, la struggente dignità di una diversità bellissima nel rispettare se stessa. “I Filantropi sono davvero dei gran rompicoglioni”, la pensava cosi Céline. Animalisti, pacifisti, ecologisti, associazioni in difesa dei tonni a pinna gialla. Basta, siete vetusti, plumbei, falsi e ipocriti.
La diversità non ha bisogno di profeti e di organizzazioni, di ennesime e noiosissime giornate mondiali, ha bisogno del coraggio di conquistare ciò che le è dovuto senza stucchevoli ostentazioni. La locura di chi attraversa la tempesta di essere intimamente altro, di chi lotta per ciò che ama e logora. Il Gay Pride è genealogicamente errato e non condivisibile in questa semplicistica categorizzazione. Le unioni civili non sono delle battaglie di pochi, ma delle guerriglie di tutti, sia chiaro. Uguali diritti per tutti, al di là del credo, oltre le cortine fumogene di idee e ideologie. Ma sfilate con drag queen, tacchi a spillo che sorreggono gambe pelose, perizoma sui culoni cerettati, no! questa è un’offesa, non all’italiano medio bigotto e bacchettone, ma alla dignità omo, trans, lesbo.
È la stessa vacuità del vitellone 2.0 che ostenta le sue conquiste pasturate la sera prima in discoteca, della virilità cruda e amena. Tutte le ostentazioni sono l’omega di qualsiasi dato di fatto.
La parata in sé è un ceffone al sentimento più bello dell’umanità: l’amore, quello vero e se esiste, che è unicamente omosessuale. Platone ne parlava perché disinteressato, libero e sfugge alla domanda del a che serve? È l’amore dell’esercito tebano che partiva a coppie di gay affinché diano tutto per la persona amata, per evitare che perisca. Se si dicesse loro: andiamo in giro con capelli colorati, con vestiti taglia S e ululando la diversità, avrebbero sentito il vuoto che anticipa un conato.
Si ama nell’intimità e non nella moltitudine: la passione non va resa orgogliosa e sbandierata ma deve essere umile e fragile. Nella società esistono muri, ferri spinati, cortine e sbarramenti. Distruggerli e superarli, da parte di nuovi pensieri unici, non è possibile. È legge di natura.
Xenofobo, sessista, omofobo, fascista. Oppure diretto, leale, sensibile, tolleranate, umano. Letto tutto scegliete al bivio.
Josef Platarota