Settembre 1940.La guerra era scoppiata da poco. Ma i disagi del conflitto ancora non venivano avvertiti dalla popolazione civile,salvo le prime ristrettezze dovute al razionamento del pane e di altri generi di consumo che,peraltro,ancora abbondavano nei negozi.E di bombardamenti aerei si parlava poco.
I miei genitori,cogliendo l’occasione che mio padre aveva da risolvere alcuni problemi col ministero dei trasporti,decisero di portarmi con loro a Roma. Fu per me un premio inaspettato.Avevo frequentato la prima classe delle elementari e mi apprestavo alla frequenza della seconda.
Sapevo leggere.Ma la difficoltà maggiore,a Roma, l’incontrai nel dover leggere le scritte latine (sebbene la cosa non mi competesse)e quelle ispirate alla “Roma Imperiale” in cui per la lettera U si utilizzava V. E non mi capacitavo del perchè si scrivesse DVX laddove sapevo che si doveva leggere DUX.
Roma mi affascinò.Gli spazi infiniti dei Fori Imperiali, il Colosseo,l’Arco di Tito,Piazza Venezia (e mia madre non mancò di indicarmi il “fatidico balcone”),mi davano una inconscia carica di orgoglio italiano di cui andar fieri agli occhi del mondo.
L’atmosfera di guerra si percepiva solo per i sacchetti di sabbia che contornavano tutti i monumenti e per il buio pesto che regnava dopo il tramonto,ravvivato soltanto dallo scintillio dei trolley dei filobus che,per me,furono una grossa novità,per quel fruscio con con cui svolgevano un quasi silenzioso servizio. Imparai una parola nuova,autarchia,visitando appunto la mostra dell’autarchia (l’Italia farà da sé).
Un giorno ci demmo appuntamento,davanti al cancello di villa Torlonia,che io e mia madre raggiungemmo in taxi,con un medico amico di famiglia e con mio padre che era in giro per faccende di lavoro.
Io e mia madre abbiamo indugiato molto ad osservare, dalle sbarre del cancello,le galline che razzolavano tra i prati ed i viali ghiaiosi,non sapendo che villa Torlonia era la residenza della famiglia Mussolini.
Quando sopraggiunse,l’amico medico ci chiese,un po’ preoccupato,se qualcuno ci aveva chiesto i documenti. Rimase sorpreso quando mia madre disse di no.Lui era stato fermato da due tipi in borghese che si potevano intravedere a poca distanza.
“Ma lo sapete che quì abita il Duce?”
Mia madre,vinta l’emozione,volle tornare a guardare le galline.
“Certo a donna Rachele uova fresche non mancano.”
Malgrado si parlasse di austerità alimentare,conservo bellissimi ricordi di quella Roma appena entrata in guerra:
-Il profumo invitante che proveniva dalle cucine delle trattorie dove ci recavamo a mangiare,serviti su quei tavoli con le tovaglie a quadretti rossi e bianchi,stirate e fresche di odoroso bucato.
-I gelati delle tantissime gelaterie dove,premurosi gelatai, ci avvertivano che,data la mancanza di zucchero,i loro gelati erano esclusivamente alla frutta.E quei gelati,vi posso garantire,erano molto più saporosi dei tradizionali gelati (intendo quelli di oggi).
-I grandi magazzini (“Zingone veste tutta Roma”) che nulla avevano da invidiare alla moderna grande catena di distribuzione di abbigliamento,sia per la varietà che per l’abbondanza e poi….poteva mancare la scala mobile? Certo che no.E chissà quante volte feci quel saliscendi.
Ed era il 1940 !
E poteva mancare la visita al giardino zoologico?
Certo che no.Specie quando si hanno sette anni. Indugiai molto davanti alla gabbia delle scimmie e mi resi conto,allora,di quanto abbiano di umano. Un guardiano ci raccomandò di buttargli pure le caramelle incartate,però di non fargli lo scherzo di mettere dentro l’nvolucro qualche pietruzza perchè diventavano furiose.
Ed io cosa feci? Bravi,avete indovinato,ci misi dentro la pietruzza che mi fu violentemente lanciata contro. Quel guardiano avrebbe fatto meglio a tacere. Poi fui spettatore di scene che non avrei mai potuto immaginare.
Uno scimmione,che aveva tutta l’aria del capo,faceva sfoggio di uno specchietto tascabile in cui si rimirava con vanitosa ostentazione.
E le scimmiette?
Tutte a far la fila per essere ammesse a…rispecchiarsi. E capii esattamente cos’era la civetteria femminile. E lo scimmione concedeva ad ognuna una sbirciatina nello specchio,in cambio di…una prestazione sessuale.
La sbirciatina ? Durava,esattamente,il tempo di una … prestazione.
E poi,sotto a chi tocca.
Fu per me una vera lezione di educazione sessuale e, quando mi girai per assicurarmi se i miei genitori erano ancora alle mie spalle,constatai che,…”casualmente”si erano allontanati.
Probabilmente nell’intento di evitere reciproci rossori. Capii che avevano “delegato” le scimmie ad impartirmi i primi rudimenti di educazione sessuale e,devo dire che, la lezion non fu poi tanto da sottovalutare.Tutt’altro. Alla postazione degli orsi il guardiano ci fece assistere ad una gustosa scenetta.
Gridò,rivolto all’orso bruno,ricoperto da un bel manto di lucido pelo nero,di fare il saluto al Duce, e quello, molto lestamente,alzò il bracco destro nel saluto romano e fu,perciò,ricompensato con un bel pezzo di pane.
Poi si rivolse all’orso bianco,agitando ancora un pezzo di pane : fai il saluto al duce. Incredibilmente scosse la testa in segno di diniego. Rifece la domanda,sempre ostentando il pezzo di pane, e l’atteggiamento dell’orso fu identico.
Io non ricordo il nome di quell’orso. Mettiamo che si chiamasse Polo.
-È brutta la fame,Polo,eh?
-ih,ih,fu il suono che emise,e sembrava,verosimilmente, un lamentoso singhiozzo.
È evidente che i due orsi,opportunamente scelti,anche per Il colore del manto,erano stati istruiti.Ed il regime, in fondo,non è che ne uscisse tanto male,per quella forma di consapevole “autoironia”.
Ma com’era bella quella Roma,almeno nel 1940. Ma com’era vivibile quella Roma,almeno fino al 1940. Ma com’erano simpatici quei romani,almeno nel 1940.
Ernesto Scura