Le vacanze pasquali sono andate via, l’inverno sembra essere tornato in città e la gioventù bizantina fuori sede torna nei vari approdi al di là del Cino e del Nicà. Con loro va via anche quella insostenibile, inspiegabile e aberrante: “A Rossano non c’è nulla. A Rossano non si può fare nulla. Rossano è una città morta che cammina”.
Sono lontani i tempi in cui il fior fiore della linea verde bizantina valicava i confini con malinconia, sogni e speranza. Le generazioni di ieri lasciavano casa con una valigia di fortuna non con una Louis Vitton, partivano con treni di terza classe e non con mezzi dotati di climatizzatore, Wi-fi, caricatore pc, caricatore i-phone, sedili riscaldabili, the e caffe tutto incluso.
Partivano per tornare, partivano con la consapevolezza che sarebbero riscesi in patria per riscattare la loro famiglia, affinchè non avessero da soffrire come i loro genitori, affinchè imparassero anche a non sottomettersi come loro. Passano i decenni e le mode e le comodità hanno creato un’ulcera nell’animo e nell’orgoglio di chi va via. L’università ora è un di più, viene prima il priveè a Roma, Milano o Firenze, vengono i festini e le birre e i cocktail sorseggiati a mulinello. Siamo arrivati al paradosso che gli ettari dei nonni di clementine e ulivi vengono svenduti nel migliore dei casi oppure lasciati marcire sotto il sole nei peggiori.
Il ragazzo che legge e si informa risponderà: “E’ colpa della globalizzazione, è colpa di un sistema che è più competitivo e complesso rispetto a quello dei nostri padri e nonni”. In effetti avere lo smartphone di 12 megapixel, tornare a casa e trovare ogni ben di Dio e non pane raffermo e ammuffito è davvero una piaga d’Egitto. È la maledizione di chi non ha mai sudato per non avere nulla e trasferisce questo zero in quello che ha attorno. Dentro ad un “A Rossano non c’è nulla e non si può fare nulla” c’è il totale fallimento di quasi 2000 anni di storia.
Un ventenne di questa comunità non conosce dove si trovano le porte del centro storico, non afferra la tradizione, non apprezza il sentimento di essere bizantini. È l’appartenenza abbassata ai livelli dei barboncini avrebbe detto Céline. Se questa generazione avesse la forza e il coraggio di scendere dai tavoli delle discoteche, di disintossocarsi dai caffè e dagli aperitivi ad ogni ora, di alzare la testa da Facebook, Tinder, Instagram e Snapchat scoprirebbe che tanto si può fare e davvero poco si può criticare. È un Mea Culpa di una generazione che lo fa a stessa. Prendere ad esempio i ragazzi volitivi che fanno è la via, senza attaccarli con astio e invidia, perché si parla di quello e non di deficienze croniche di un territorio, si intende che è più bello stare con il sedere attaccati alla poltrona a fare zapping o mettere like che girare e scoprire, lottare e rischiare.
Citando la pedagogia del tubo catodico delle classi 80-90: “Tu sei di più di quello che sei diventato”. Lo schiaffo semiotico di Mufasa a Simba, di una generazione all’altra. Ora e per sempre, tra un bacio con selfie al Gianicolo, tra un tramonto sul lung’Arno, tra un aperitivo ai Navigli o sotto la Mole ci sarà una stella polare che rinnegate e che si chiama Rossano.
Josef Platarota