Nel settembre del 1943,l’unica arteria che serviva l’abitato di Corigliano e,quindi,l’unica arteria di grande collegamento, percorribile sulla tratta litoranea Jonica,nella direttrice Nord-Sud,era la Strada Statale SS 106. E questa dicitura era indicata sulle pietre miliari che ne scandivano rigorosamente le progressive chilometriche,oltre a riportare l’orgogliosa sigla di appartenenza che,allora,non era quella di oggi,ANAS,ma l’ormai dimenticata AASS che stava a significare : AZIENDA AUTONOMA STRADE STATALI.

 E qualche spiritoso anziano,al quale,da bambino,chiedevo il significato,mi aveva scherzosamente scandito: Andare Avanti Senza Soldi.
Però bisogna riconoscere che “Strada” e“andare avanti”ben si conciliavano con le traversie di chi …”tirava a campare”. Tutta la SS 106,da Taranto a Reggio Calabria,non era,a quei tempi,asfaltata, ma pavimentata in polveroso ¨macadam”. L’unico tratto,di appena quattro chilometri,”miracolosamnte” asfaltato,era quello tra Corigliano Centro e la Stazione.
Nasce spontanea la domanda del perchè Corigliano godesse di questo incommensurabile privilegio che faceva sì che non solo i proprietari di autoveicoli,ma anche le migliaia di operai forniti di una modesta bicicletta,evitassero le noiose forature degli pneumatici.Per non parlare del vantaggio anche per la trazione animale che veniva agevolata da una più snella movimentazione e,cosa da non sottovalutare,l’eliminazione del problema polvere,quella dannazione bianca,impalpabile che te la trovavi dappertutto,dalle narici,alle orecchie,ai capelli e negli occhi che si impastavano di quella maledizione che in molti,allora,scherzosmente chiamavano “cipria”.
E gli autisti che,allora,malgrado le raccomadazioni del regime, contrario ai francesismi,si chiamavano “Chauffeurs”,erano costretti ad indossare uno spolverino,di solito di tela spazzino, di cui si spogliavano ad ogni fine viaggio per sottoporlo ad una energica sbattitura.
Vediamo il “miracolo” della bitumatura dei quattro chilometri Corigliano Stazione.
Nulla di “Taumaturgico”.Solo la lungimiranza e la tenacia di appassionati amministratori della Corigliano degli anni trenta. E sto parlando dei Fino.E se qualcuno storcerà il muso,faccia pure,non sarà certo il suo muso storto ad impedirmi il racconto di certe verità “sacrosante” che,nel bene e nel male,sono Storia,e la storia non la si racconta per far piacere o dispiacere.
La Storia è semplicemente Verità.Così mi hanno insegnato,con grande coraggio,due galantuomini nonchè illustri storici,Renzo De Felice e Giampaolo Pansa,dei quali,tutto si potrebbe,forse, dire,tranne che avessero simpatie o interessi…Fascisti.
Sentite cosa combinarono quei Fino ( Mai la parola “fino” stette ad indicare,più degnamente ,una qualità del cervello,peraltro senza alcun ricorso al proverbialeriferimento …”scarpe grosse”):
Chiesero alla AASS di provvedere alla bitumazione del tratto di strada tra Corigliano e lo Scalo.Fu risposto che bisognava procedere ad una rilevazione dell’intensità del traffico.
E così fu fatto,da due cantonieri che,seduti ad un un tavolinetto, subito dopo il “ponte coriglianeto”,segnavano tutti i mezzi che transitavano,nel giorno stabilito,nei due sensi di marcia. E quel giorno,”stranamente”,su quella tratta ci fu una insolita animazione veicolare,da far saltare tutti gli indici di riferimento.
Cosa era successo? Quegli “autoritari fascisti”,con la tipica “arroganza fascista” ORDINARONO,in modo informale, a tutti i possessori di un autoveicolo,di fare,quel giorno,la spola tra il centro abitato e lo Scalo,sotto la terribile “minaccia”di dover …continuare a masticare polvere per altri vent’anni.
E quegli automobilisti,ubbidirono “controvoglia”a quell’ordine, e furono “costretti” a goderne i vantaggi,ma ”controvoglia”.
Dopo questa utile premessa,torniamo a Settembre del 1943.
Il versante nord dell’abitato,è molto scosceso,ed ivi,la 106, presenta,ancora oggi,un tornante con raggio di curvatura molto stretto.Da ciò nasce tutto quel che racconteremo. Gli automezzi alleati,tutti a trazione anteriore,avevano un raggio di sterzata molto ampio e,pertanto,erano costretti, almeno i camion,a dover effettuare delle manovre di va e vieni da cui derivava un “perditempo” che,moltiplicato per le centinaia di autocarri giornalieri,causava un grave ritardo all’avanzameno della colonna motorizzata.
Era questo il motivo delle lunghe soste che consentivano,ai soldati alleati,di instaurare trattative con i civili,mettendo in atto il baratto, o l’acquisto,di un po’ di tutto: frutta fresca,liquori dolciastri fatti in casa e persno…..pessimi orologi di fattura dozzinale che,stranamente,riscuotevano un incredibile interesse presso i soldati americani,sia per il prezzo, oltremodo allettante sia,forse,per la linea di gusto europeo.
Mio fratello,tredicenne (io avevo dieci anni) si era messo nel giro di questo redditizio “commercio” offrendo certi insipidi piccoli melloni che mio padre aveva acquistato per dareda mangime al maiale.
Quei melloni,che nemmeno il maiale apprezzava più di tanto, risultavano,stranamente,abbastanza graditi al generoso palato di quei Yankee (gli inglesi no,erano più guardinghi). Mio fratello estese,poi,la sua attività anche ai pomodori.
Non vi dico il ben di Dio che entrava a casa ,frutto di quella “spericolata“ operazione commerciale fatta all’insaputa di mio padre che,quando se ne accorse,scatenò il finimondo.
Ma il finimondo dovette per forza aver fine quando,con un po’ di buonsenso,la mamma lo convinse che,in fondo,mio fratello non stava commettendo alcun atto illecito,anzi,con una dose di fantasia,contribuiva a risolvere certi problemi di approvvigionamento alimentare,magari non di primissima necessità,ma utile a far dimenticare anni di forzata rinuncia (Corned Beef,biscotti,zucchero,tè, cioccolata,caramelle e il tanto sognato caffè).
Mio padre non cedette subito.Ma quando mio fratello gli gettò sulla scrivania una fiammante stecca di Camel,dopo una molto prolungata astinenza da sigarette che per tanti mesi lo aveva attanagliato,borbottó qualcosa e poi aprì la stecca,con malcelato compiacimento.
Su una cosa non cedette:l’umiliazione di “chiedere”,a quei soldati,con modalità da elemosina. Un giorno volli,anch’io,provare a fare qualcosa e,tendendo la mano (io non sapevo fare diversamente),gridai ai militari di una camionetta:”mister,biscuit!”
Quelli m’inondarono di biscotti,ed altre leccornie,ed io,che non mi ero ancora ripreso per lo stupore dovuto al successo di quel primo esperimento,dovetti sopportare due violenti ceffoni di mio padre che,non visto,aveva assistito,da lontano, alla scena.Ne sento ancora il bruciore.
In compenso,imparai a non pietire,mai,nella vita.

Ernesto Scura