Terminato il pranzo al ristorante “LA BORA”,sull’altipiano carsico, (era il lunedì di Pasqua) chiesi a Giovanni Avolio e Ciccillo Luzzi: Siete mai stati alla Foiba di Basovizza? Ed entrambi: mai. È appena ad un chilometro da quì.Venite con me.Ritengo che per la vostra cultura,tutta improntata alla civiltà triestina,è necessario che vi rendiate conto in che città martire avete vissuto in questi anni.
Ed è bene che sappiate che,ad appena due chilometri da quì,al di là di un’infame frontiera,vivono gli aguzzini di quei martiri.
Ci recammo sul posto e feci notare un grande lastrone di cemento che copriva la bocca di quella voragine,essendo stato impossibile, all’epoca,riesumare le salme,come avvenne per tutte le altre foibe. Qui.per la grande profondità e per le difficoltà di discesa e risalita, si preferì rinunciare all’mproba fatica coprendo il tutto con l’enorme piastra che copriva la vergogna,il dolore e la rabbia accettando solo il pianto ed il ricordo dei sopravvissuti.
E non fu nemmeno possibile,come per le altre foibe,procedere alla “conta” delle vittime della barbarie comunista. Si seppe soltanto che i miliziani titini rastrellavano a Trieste quanti più italiani potevano (non occorreva,nel modo più assoluto,che fossero fascisti,bastava essere italiani) e poi, legati l’uno all’altro con fil di ferro,come nella corona del Rosario,venivano disposti sul bordo della foiba,dove si sprecava un solo colpo di pistola,sparato alla tempia del capofila che, con un calcio,veniva spinto nella foiba.
Precipitando,si tirava dietro,ad uno ad uno,tutti gli altri,appunto come i grani di un Rosario..(la più spiccia delle “pulizie etniche”). Si cercò,soltanto,di valutare in 500 metri cubi,il “volume” di salme contenute nella voragine,con una semplice operazione matematica: conoscendo,da antecedenti rilevamenti,la profondità della foiba e, procedendo al rilevamento attuale delle misurazioni di profondità, nonché sulla scorta di ben precise vecchie rilevazioni speleologiche della superficie interna,si arrivò a formulare quella cifra.
E sebbene sia estremamente penoso misurare l’entità dei morti con una unità di misura volumetrica,come si fa,ed è già ripugnante il solo pensiero,per il letame,è tutttavia di aiuto per valutare l’entità della barbarie che,quella sì, non ha bisogno di unità di misura.
Un morto equivale a mille e a centomila.Fa lo stesso.Sempre barbarie è,se la modalità è da eccidio.Uno in più,uno in meno,resta l’orrore. Tornammo giù a Trieste.Notai,dai prolungati silenzi, che i due erano rimasti un po’ conturbati per ciò che avevano visto. Cercai di rompere quel velo di ghiaccio che ci stava rovinando la pur bella giornata.
Ditemi,ragazzi,a donne,come siete messi?
Si fecero una fragorosa risata e poi : ai tuoi livelli,mai.E poi tu eri avvantaggiato dal possesso della Vespa che ti consentiva persino, nella stessa giornata,la reiterazione …del“reato”,spesso,con diverse partners,ma noi,sebbene truppe appiedate,la nostra parte non manchiamo di farla.
Ed a Giovanni: ti ricordi di quella volta che mi hai sottratto la Vespa in un momento …importante?
E sì che mi ricordo.Per fortuna feci in tempo a lasciarti la Vespa a bordo marciapiedi e scappare.Dalle contrazioni del tuo viso avevo capito che se mi acciuffavi ne sarei uscito con le ossa rotte. Cosa era successo? …eravamo “quattro amici al bar…”,io,Giovanni, Ciccillo ed il fratello Leonardo (dei quattro sempre il più pessimista). Seduti a prendere il caffè al tavolinetto sul marciapiedi.
Come al solito,sempre,con le antenne tese ad intercettare presenze femminili o,quantomeno,ad annusare odor di preda. Passa una bellissima ragazza palesemente austriaca,e tutti noi, col fiato sospeso,a guardarla,senza azzardare commenti.
Indovinate chi dei quattro si alza per andarle dietro? Ma io,è ovvio. E Leonardo: vieni quì,dove credi di andare,non lo capisci che non è pane per i tuoi denti.Ma non vedi com’è bella.Lascia stare che ci rimedi soltanto qualche brutta figura.
Ed io,per fortuna sordo a certi “sconsigli” mi affianco a Susi (così si chiamava) e cerco di attaccar bottone.Lei muta.Poi va a sedersi ai tavolinetti di un altro Bar,ed io,sapendo che,in Austria,come in tutta la “Mitteleuropa è usanza diffusa andarsi a sedere ai tavoli dove c’è già un cliente,senza suscitare offesa o rimostranze,mi siedo a fianco a lei e,al ragazzo del Bar,ordino,per me e per lei,che esplode in una fragorosa risata,dicendo tu “romano”.
Probabilmante quella scenetta l’aveva vista nei tanti film ambientati a Roma,ma più che altro,per la mia “rassomiglianza”,(così dicevan tutti) con …Alberto Sordi.
Le propongo di fare un giretto in Vespa e,intanto,chiamo il cameriere. Non ci fu verso di convincerla a farmi carico delle due consumazioni. Ognuno pagò la sua,ma,in fondo,anche questo sapevo,per altre precedenti …esperienze.Così son fatte le austriache.Tutte al contrario di noi italiani,sempre …eterni romantici cavalieri. Ma loro,da tempo,sostengono una parità di sesso che le “costringe” a rinunciare a …certe galanterie.
Le dico di aspettarmi perchè vado a prendere la Vespa. Vado e non trovo più la Vespa e,siccome mancava anche Giovanni, capisco cosa era successo (tra l’altro Giovanni non aveva nemmeno la patente e,pertanto,la mia preoccupazione era ancora più grave) e Ciccillo non seppe dirmi altro che : “ Giovanni è andato a fare…un giretto”.
Per fortuna Giovanni arrivò in tempi ancora compatibili con il mio “Programma” e gliela perdonai quella leggerezza. Ma da quel momento non lasciai mai le chiavi della Vespa… inserite.
E ci fu un altro episodio che spesso ricordavamo con simpatia, quando erano ancora con noi,Leonardo e Ciccillo, fu una sera che avevamo finito di cenare nella nostra Trattoria, da Sergio,e all’uscita,avvertimmo un inizio di pioggia.
C’era da prendere una decisione rapida,affrontare subito la pioggia,partendo in Vespa e,magari bagnarsi …un po’,però poter arrivare a casa prima che la pioggia rinforzasse,correndo il rischio di dover passare la notte in trattoria. Decisi che meritava correre il rischio di bagnarsi un po’ ma, almeno,passare la notte nel lettuccio di casa.
Ma il rischio non consisteva solo nel bagnarsi…un po’.Il vero grosso rischio era di incontrare la polizia visto che nel programma, era previsto il viaggio in tre,io alla guida,Ciccillo in mezzo,alle mie spalle,e Leonardo a chiudere il “sandwich”.
Partimmo,e quando mancavano cento metri a casa nostra,toh,la polizia urbana,ben equipaggiata,con la cerata munita di cappuccio e con tanto di paletta.Ci fermammo,infreddoliti e già inzuppati.
-ragazzi,come xe con voi ?
Ed io,adducendola come scusa: Siccome pioveva (e avrei voluto aggiungere per non bagnarci più di tanto…) non mi fecero più proseguire.
-Ma proprio perchè pioveva non dovevate farlo visto che i rischi erano ancora maggiori.E poi,ragazzi,come vi è venuto in mente, in tre,su un veicolo omologato per due.
Insomma,c’erano tutti gli ingredienti per una multa salatissima. Non ci rimase che giocare l’ultima carta,quella che,di solito,ci ha tolto dagli impicci nelle situazioni più imbarazzanti.
-Vi prego,…siamo studenti.
E quella parola “magica”,studenti,fu la carta vincente che io,più di una volta seppi giocare con arguzia,sapendone la valenza di simpatia che sapeva riscuotere in una città come Trieste che,per tutto ciò che appartiene alla “Cultura”,ha sempre nutrito stima, simpatia,orgoglio.e…rispetto.
-Andè,muli,e non lo fate più.
Ed oggi,che Ciccillo non c’è più,e Leonardo,compagno di una vita,non c’è più,e Cozzolino non c’è più,nè Fernando Sannicola,e non c’è più il più caro rossanese,compagno di studi e collega ingegnere,Federico Cerasoli,e tutti gli altri che non ci sono più, sento un brivido gelido risalirmi lungo la schiena e,terrorizzato dico a Giovanni:
Noi due,ultimi testimoni di un’epopea di anni ruggenti,non possiamo venir meno all’appuntamento con la “storia”,e facendoci forti del compito di “raccontare” fatti e misfatti, illudiamoci di essere “indispensabili” ancora per un pezzo. E che Dio c’è la mandi buona.
Ernesto SCURA