Riflessione di PAOLO SMURRA
Finita la Pasqua, finite le belle frasi di pace e amore, finita la commozione determinata dagli eventi religiosi a cui abbiamo assistito, si ritorna alla normalità, alla nostra vita di sempre. Poco importa se abbiamo partecipato a tutte le vie Crucis o alla processione del Venerdì Santo magari solo per tradizione.

Poco importa se abbiamo partecipato a tutte le funzioni in maniera puntuale senza pensare che la passione di Gesù non è un evento fine a sé stesso ma che deve farci mobilitare per costruire nel nostro piccolo un mondo migliore. A me l’ipocrisia non piace. Chiediamoci tutti quanti, se quella passione che abbiamo celebrato in chiesa, la viviamo anche fuori. Chiediamoci se, siamo accoglienti verso tutti e se includiamo nei fatti e non con le parole i nostri fratelli rifugiati, le persone emarginate, coloro che vivono situazioni di disagio di qualsiasi genere. Chiediamoci, se siamo disposti persino a soffrire per gli altri pur senza perdere di vista i nostri obiettivi e la nostra vita. Il Cristiano, come me e come te che stai leggendo questo articolo, non deve apparire. Altrimenti si rischia di idealizzare un dio a nostro piacimento, un dio che non è come è davvero, ma è come vorremmo noi. La Chiesa però vive di tante ipocrisie ed il lusso che la circonda ne è un esempio. Mi piacerebbe avere una Chiesa povera ma più concreta, che vive con Cristo e per Cristo, una Chiesa aperta che non sia luogo di rivalità tra parrocchie come a volte succede, ma che includa sempre più persone dall’esterno, che sia disposta al dialogo con tutti, anche con chi non è credente. Un giorno, una persona parlandomi di sé e di un problema che aveva, mi disse: “Sono stato allontanato proprio dalla Chiesa e ora non credo più a nulla”. Che tristezza ho avuto nel sentire queste parole! Una Chiesa bella per me è quella che avvicina la gente, è quella che è contenta quando qualcuno vi bussa o vi chiede aiuto. In effetti, Gesù Cristo disse: “Io sono venuto per salvare i malati”. Forse, questa Chiesa è troppo gerarchica, ci sono troppi ruoli, che per carità ci vogliono, ma poi il rischio è quello di rendere la comunità un sistema chiuso, accentrato e questa non è la volontà del Signore. Oggi molte persone sono lontane dalla Chiesa perché la sentono distante da loro. Invece, penso sia importante uscire dalla Chiesa intesa come edificio, per costruire una comunità dispersa un po’ in tutto il territorio, una comunità che sappia collaborare per soddisfare i bisogni di tutti. Una chiesa attiva è quella che sta realizzando don Maurizio Patriciello, a Napoli. Don Maurizio, di passione ne ha tanta. Nonostante le minacce della camorra, lui va avanti perché ha un obiettivo, e cioè quello di diffondere in un quartiere dove comanda la criminalità, la cultura del bene. E, don Maurizio, è un esempio concreto di attivismo e di coinvolgimento altrui, perché da leader carismatico, quale è, sta aiutando una popolazione ormai forse rassegnata a sperare in un mondo migliore, ad un mondo libero dalla prepotenza mafiosa. Questa è la Chiesa che vorrei, quella che non appare ma che si apre ai problemi del mondo e li affronta.

PAOLO SMURRA