di Ciccio Ratti
Gentile Testata, dopo aver letto l’ultimo fatto di cronaca relativo al comparto sanità locale ho sentito il bisogno di inviare queste due righe, la cui eventuale pubblicazione mi auguro possa diventare parte di quella discussione sulle tragiche condizioni in cui versa il sistema che sembra latitare nell’opinione pubblica. Tutto ciò che si legge a riguardo sono da un lato le notizie di cronaca, dall’altro i comunicati stampa della politica il cui scollamento dalla realtà farebbe ridere se non ci fosse da piangere.
Partiamo dalla cronaca recente: un ragazzo di 29 anni è morto nel Pronto Soccorso del Giannettasio a quanto si è appreso per la mancanza di una barella adeguata alla sua corporatura. Una cosa raccapricciante, in un sistema in cui abbiamo notizia di sprechi milionari e di truffe clamorose. Cerchiamo di fissarcela in mente questa cosa: un ragazzo di 29 anni, che potrebbe essere un fratello, un cugino, un figlio, un amico di chiunque di noi, si presenta in un Pronto Soccorso sperando di veder risolti i suoi problemi e invece muore. Muore perché a quanto si legge l’ambulanza che deve trasferirlo a Cosenza deve venire da Castrovillari (Castrovillari-Rossano 55 km. + Rossano-Cosenza 98km. se ti senti male devi aspettare che si macinino 153 chilometri con l’aggravante della viabilità calabrese) e quando arriva si scopre che non ha la barella adatta. Muore perché il famigerato piano di rientro ospedaliero non ha colpito gli sprechi ma i bisogni. Muore perché i presìdi sanitari sono sottorganico, muore perché è impossibile che un pugno di medici e operatori possa far fronte ad un’utenza di 200mila persone. Muore perché funziona poco o nulla. Per esperienza personale mi sono trovato spesso ospite del Pronto Soccorso del Giannettasio, almeno 4 o 5 volte dall’inizio dell’anno, e ogni volta il livello di sconforto per quello che accade lì dentro tocca vertici impensabili. Nonostante la buona volontà di chi ci lavora ci sono momenti in cui davvero sembra di essere in un teatro di guerra, con gente che geme, urla e si lamenta nelle sale d’attesa perché non ci sono posti per tutti. Gente che viene da paesi limitrofi costretta a dormire in sala d’aspetto in attesa di una soluzione per i propri cari tenuti in osservazione. Un bagno senza manco la maniglia a servire tutta l’utenza (con risultati in termini di mantenimento dei livelli di igiene che tutti potete immaginare).
Ma continuiamo a leggere le note stampa della politica. Quelli che comandano spiegano soddisfatti che tutto è in evoluzione, con tante soluzioni in arrivo. Quelli che non comandano si sprecano in indignazioni al chilo. E nel frattempo la gente si ammassa nel Pronto Soccorso e, se va male, muore a 29 anni. E non si vedono mobilitazioni all’orizzonte. A prescindere da quali siano le cause, l’ultima manifestazione che si ricordi è del 2017. Pochi, pochissimi eravamo. E nel frattempo le cose sono andate peggiorando. Probabilmente non si riesce più a coinvolgere, non si riesce più a indignare, spesso neanche a distinguere la protesta sacrosanta dalla semplice ricerca di visibilità. E allora ci torna in aiuto una vecchia massima in vernacolo locale, che ci restituisce intatta nel tempo tutta l’ineluttabilità delle condizioni di vita in Calabria: amar a chin ci chiava.
Cordialmente
Ciccio Ratti, cittadino