Il giochetto è semplice e facile da attuare: divide et impera, dividi e domina. È un’invenzione romana utilizzata nelle sue campagne di conquiste del mondo. Divenne poi consuetudine nelle colonie europee in Africa, ponendo così etnie, famiglie e piccole identità statuali in uno stato di scontro perenne.
Ebbene, hanno fatto sempre così con noi. Lo Ionio cosentino è colonia da spolpare e umiliare. Lo Ionio cosentino è il Congo della Calabria, un grilletto da premere, un mucca da mungere, un territorio da schiacciare con il sorriso e frasi rassicuranti.
Qui non esiste il coltan, il cobalto o i diamanti ma ci sono i cittadini, tanti cittadini, quelli da ubriacare di promesse solo nelle campagne elettorali. Qui ci sono, e ci sono sempre stati, politici di bassa lega che hanno svenduto il loro suolo per poltrone, incarichi e pennacchi. Ma è anche sbagliato prendersela sempre con chi cura la cosa pubblica, è da sempliciotti. Bisogna essere lungimiranti e umili. Agire per sentimento e non per risentimento. Ma è ben andare per ordine, sempre se fosse possibile in tutto questo marasma.
La ribalderia riguardante la non-costruzione dell’Ospedale unico è l’ennesimo affronto criminale di una classe dirigente che vuole uccidere un’area e con essa i suoi figli. Era il 24 Novembre scorso quando il presidente della regione Calabria, Mario Oliverio, utilizzò il prestigioso proscenio del castello di Corigliano per raccontare le ennesime barzellette che, puntualmente, qualcuno che conta propina a questo territorio: sanità da rilanciare, strada statale a tredici corsie e banconote viola con le quali lastricare la rete ferroviaria. Roba da Disneyland Paris. Ma l’occasione era da cogliere, dopo pochi giorni si sarebbe votato per il referendum costituzionale, e il nostro governatore, che tanto a cuore ha le sorti della Baia dei Greci, presentava in pompa magna l’Ospedale unico. In confronto il Seattle Hospital della serie tv Grey’s Anatomy sarebbe stata una catapecchia. Il dato allarmante è che qualcuno c’aveva creduto.
Se non fosse che questo territorio sia diventato preda delle egemonie, che sulla 106 oltre ad autovelox di ultima generazione e rotonde non si vedano tutti questi miglioramenti, che in queste latitudini si muore come i sorci per via della sanità allo sbando, che per raggiungere qualsiasi luogo bisogna mettersi l’anima in pace, ci sarebbe da ridere, e non poco, per quanto sia fine e arguto certo umorismo da spergiuri cronici.
Le visite del governatore (non vuole essere un attacco politico ad un certo schieramento, ma una presa di coscienza contro certe consorterie) hanno la stessa cadenza degli appuntamenti elettorali, quando si tratta di giungere in queste zone per affrontare i temi che squarciano la quotidianità del cittadino, invece, le sedie restano vuote e i microfoni spenti. Thomas Sankara, leader del movimento indipendentista del Burkina Faso, di cui sarà anche Presidente, pronunciò queste parole: “Uno schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà”.
Questa terra ha subìto una spoliazione sistematicamente di strutture e infrastrutture prima e di vigore poi. Una cosa forse c’è rimasta, ma lo dimentichiamo giorno dopo giorno: la dignità. Tra pochi mesi Rossano e Corigliano saranno chiamate ad una votazione storica, che potrebbe rappresentare una rinascita o un cataclisma, un inizio o una fine, un’alpha o un’omega. Anche i fan meno sfegatati di tale evento dovranno farci i conti.
Qualsiasi sia il risultato, se vinca il si o vinca il no, ciò che bisogna porre in cima alla lista è la creazione di un’identità sovrastrutturale e federalista dell’intero Jonio calabrese, guardando con simpatia anche al di là del Neto, a quella Crotone che sta pagando dagli anni ’80 la voracità meschina di chi in Calabria fa la voce del padrone. Ma non si cambia nulla se quel cambiamento non parte dal basso. Questa fascia morirà se continuerà a votare chi questo sfascio lo ha voluto sistematicamente. È un geniale genocidio per trucidare fervore, identità e passione, a piccole dosi ci hanno iniettato veleni, le siringhe sono lucchetti che chiudono tutto, da Ospedali a Tribunali, da uffici a servizi. Supinamente abbiamo abbassato la testa. Tutti, nessuno escluso. Ma non basta.
Urge fermare sul nascere i fidi scudieri dei pupari cosentini (e non solo) che già stanno bruciando in maniera preoccupate le tappe nelle varie amministrazioni dei comuni di quella che fu la Magna Grecia. È cosa buona e giusta che, alla prossima sfilata pre-elettorale, venga detto a chi viene ad infangare le intelligenze di un territorio: “Guardate che qui non ci sono più le vostre scimmie”. Hic sunt leones. Questa gente non solo non conosce la costiera ionica e i suoi abitanti, ma non gliene importa un bel niente.
In qualsiasi sistema coloniale si è giunti alla sovversione morale, al riscatto materiale e alla rivoluzione spirituale. Il tempo del buonismo, del politicamente corretto, del dialogo è finito. La classe politica e i cittadini di questa area si facciano carico delle proprie e improcrastinabili responsabilità, dei loro doveri verso questa terra, del futuro di chi ci sarà dopo di loro, ad ogni costo e con ogni mezzo. La sabbia dentro la clessidra sta esaurendo, rimarrà solo la polvere.
Josef Platarota